EL LOCO NEL MONDO

EL LOCO NEL MONDO
Uno stile di vita

martedì 9 giugno 2009

2002 CAMBOGIA VERSO LOSPEDALE DI EMERGENCY....

TRATTO DAL DIARIO DI VIAGGIO "GIRO IN GIRO" 2002...Un viaggio attraverso Tailandia, Malesia, Sumatra e Cambogia.....

CAMBOGIA 08-04-2002 - E' l'alba sono con la mia compagna di viaggio Julie una giovane ragazza scozzese che da anni vive e insegna inglese in Giappone e che da un paio di settimane viaggia con me. Ci prepariamo ci aspetterà un lungo viaggio verso Battambang alla ricerca dell'ospedale di Gino Strada "Emergency".
Si parte, come d'accordo il pik-up passa a prenderci alle sei in punto. Leghiamo i nostri zaini su un mucchio di sacchi di riso e saliamo dietro al cassone insieme ad altre dodici persone tra donne e uomini, tutti contadini con le loro ceste ripiene di verdure e frutta pronte per essere vendute a qualche mercato chissà dove. Julie riesce a stringersi e prendere posto accucciata su un grosso sacco di iuta, io trovo posto seduto accanto a due uomini, in equilibrio sulla sponda del mezzo. Il pik-up si mette in moto, la marmitta, o meglio ciò che ne rimane fà un gran fracasso, ci incanaliamo lungo la strada principale e dopo alcuni chilometri, ancor prima di uscire dal paese la camionetta si ferma in una piccola piazza sterrata per fare salire a bordo altre tre persone, che a spintoni riescono a trovare posto sul cassone. Appena lasciata Siem Reap la strada si fa sempre più tortuosa e a ogni sorpasso di camion o pik-ip, si innalza una grande nuvola di polvere che copre del tutto la visuale, andando a infilarsi nei nostri occhi, in bocca impastandola insieme alla poca saliva e ovunque ci sia uno spazio per penetrare. Cosi', con astuzia e un po' d'esperienza decidiamo immediatamente di avvolgerci una maglitta intorno alla testa e il viso lasciando il posto solamente ad un paio d'occhiali da sole che ci ripare gli occhi. Ogni tanto il pik-up inchioda e sterza di colpo evitando improvvise buche lasciate dallo scoppio di vecchie mine, facendo si che l'intero carico di persone sbatta l'una contro l'altra. E' un viaggio veramente duro, ma pieno d'avventura. Julie ogni tanto viene calpestata involontariamente dai grossi piedi callosi dei contadini, io a ogni piccolo salto rischio di trovarmi steso lungo la strada. A ogni villaggio che si incrocia alcune persone scendono, ma subito altre prendono il loro posto e decine di donne e ragazzini si gettano contro al cassone con in testa ceste di vimini ripiene di ogni sorta di cibarie, cercando di vendere i loro prodotti ai passeggeri. Dopo circa tre ore di sballottamento il pik-up si ferma nella piazza di un paesino non molto lontano dal confine con la Tailandia, l'autista ci fa scendere e ci indica un altro pik-up da prendere per raggiungere Battambang, anche questo pieno di sacchi. Io dopo aver risistemato gli zaini e Julie in un comodo angolo del cassone arrugginito, ne approfitto per fare rifornimento d'acqua e sigarette, compro anche alcuni biscotti di farina di riso, giusto per buttar giù qualche cosa nello stomaco. Risalgo sul cassone, mi allungo disteso su due sacchi tra alcuni contadini e mi accendo una sigaretta approffittando del passo lento dell'automezzo, che dopo solo alcune centinaia di metri, dopo aver tirato un forte botto dal tubo di scapamento ed essere fuoriuscita una grossa nube nera è di nuovo fermo. Tutti saltano giù dal cassone, l'autista si corica sotto l'automezzo e dopo aver tirato due colpi con una grossa pitra sull'attacco della marmitta, ci fa segno di risalire e cosi' si riparte. Sulla strada c'è un gran via vai di mezzi, motorini che trainano carretti stra colmi di persone, biciclette con uomini che si avviano al lavoro nei campi, vecchi e arriugginiti camion senza porte con il loro carico in bilico sui cassoni, anziani che trainano a fatica carretti con il loro raccolto. Ad iun certo punto ci troviamo dietro una lunga colonna ferma, mi alzo in punta di piedi e vedo due militari che controllano i carichi dei mezzi, è un posto di blocco. Arrivato il nostro turno i due uomini in divisa si avvicinano, danno una occhiata tra i sacchi, guardano in viso ad ogni singolo passeggero, ci chiedono di che nazionalità siamo, dove stiamo andando e senza neanche controllarci i passaporti, fanno cenno all'autista di ripartire. Battambang sembra che non arrivi più, abbiamo le ossa a pezzi, siamo stanchi, ci guardiamo in viso, abbiamo gli occhi che lacrimano pieni di polvere e il viso color della terra.
Dopo altre due ore e mezzo eccoci percorrere la strada che passa al centro della città di Battambang dividendola in due, dopo 160 Km, cinque ora e mezza di sballottamenti siamo arrivati, siamo esausti, mi srotolo la maglietta che mi ripara il viso, i capelli sono incollati tra di loro in un misto di terra rossa e sudore. Questa maniera di viaggiare è dura, ma è l'unica maniera di conoscere veramente un paese,- che sballo!!!-. Appena mettiamo piede a terra alcuni ragazzi in motorino ci indicano un hotel vicino, cosi' accompagnati da questi giovani ormai sicuri della loro commissione, prendiamo una stanza all'Asia Hotel che si trova non più di duecento metri dal mercato centrale del paese. E' un hotel abbastanza carino e economico, anche se poco organizzato, ma in questo momento l'importante e che abbia una buona doccia e acqua fresca. Mentre Julie si riposa allungata sul letto sotto il ventilatore che gira a gran velocità, io faccio un giro del paese, passeggio tra i banchi ripieni di frutt, verdura strani oggett. Costeggio un fiume fino a raggiungere un piccolo ponte in ferro, mi siedo lungo un marciapiede dove sono già seduti a chiacchierare tre uomini e cerco di prendere cosi' informazioni sull'esistenza dell'ospedale di Emergency. Solo uno di loro spiccica alcune parole in inglese, e sembra che non conosca nessun ospedale italiano che porti questo nome, io insisto sulla sua esistenza, un alto uomo più anziano si avvicina, borbottano alcune parole a me incomprensibili, l'unico che parla inglese si rvolge a me, dicendomi, che d'allatra parte del fiume a un paio di chilometri, si trova un ospedale di soccorso americano, ma mi ripete che non esiste nessun ospedale italiano.
Mentre faccio ritorno verso l'Hotel, penso che sicuramente l'ospedale americano di cui mi hanno parlato invece sia l'ospedale del dottor Strada e che domani proverò ad andarlo a cercare in quella direzione.
Ad un certo punto mentre percorro alcuni vicoli di terra battuta circondati da piccole farmacie, officine, negozietti che vendono un po' di tutto, bambini che scorrazzano a piedi nudi tra la polvere gridandomi - hallo -, donne sdentate che mi sorridono, uomini che mi scrutano insospettiti, incontro julie che sconfitta dal gran caldo che avvolge la nostra piccola nuova stanza, è scesa in strada. Andiamo insieme verso il mercato e dopo soli alcuni minuti, preceduto da un assordante tuono comincia a scendere un acquazzone. Noi ci guardiamo in viso, alziamo la testa e insieme ringraziamo il cielo di non essere sul cassone del pik-up. Le strade si riempiono di grosse pozzanghere e fango, due bambini si rincorrono felici sotto la pioggia alzano volontariamente grossi spruzzi di acqua e fango con i loro piedi scalzi. Le persone corrono al riparo sotto i balconi, le donne delle bancarelle si affrettano a tirare spessi teloni, altre spazzano via l'acqua dai negozzi. Io e Julie coriamo verso un grosso terrazzo in cima a un hote qui vicino, e all'asciutto sorseggiamo una buona e gelata Angkor beer, accompagnata da un piatto di riso, ananas e pollo. In tanto il temporale cessa e le grige nuvole lasciano nuovamente lo spazio al sole, l'aria è più fresca e la città ricominci a muoversi nel suo trambusto.
09-04-2002. E' appena spuntato il sole e stiamo camminando lungo le sponde del fiume, alla ricerca dell'ospedale di Emergemcy. Superiamo il ponte in ferro e continuiamo allontanandoci dal centro lungo una larga strada di terra rossa. Più ci allontaniamo più le case in cemento lasciano il posto a semplici capanne in assi di legno e lamiere arrugginite, le persone che incrociamo hanno gli occhi che esprimono sempre più diffidenza, alcuni ci osservano da nascosti, altri ci guardano e poi parlottano tra loro. Ad un certo punto sul centro della strada vedo passare a gran velocità un pik-up bianco con sulle porte la scritta Emergency, capisco di non essere lontano. Arriviamo ad un incrocio, chiedo informazioni ad alcuni passanti, che mi indicano di svoltare a sinistra, di proseguire dopo la curva per alcune centinaia di metri e poi sulla destra avrei trovato l'ospedale. Cosi' faccio, Julie cammina accanto a me, guardiamo con curiosità ogni casa che ci circonda fino a quando notiamo sulla nostra destra un grosso muro bianco con su scritto in nero Emergency, vitato introdurre armi, felici capiamo di esserci arrivati.
Bussiamo a un cancello, viene ad aprirci un giovane cambogiano, entriamo nella sala daspetto del pronto soccorso, gli domando se è possibile parlare con un dottore italiano, cosi' mi presenta Stefano Noto un chirurgo di Milano che sarà la mia guidaall'inteno dell'ospedale.
Stefano e qui con la moglie infermiera ormai sei mesi, è un uomo molto solare, con gli occhi che brillano di luce propria e con la battuta sempre pronta.
Gli racconto che uno dei miei motivi di viaggio in Cambogia è proprio la visita di questo ospedale, lui è molto felice di cio', mi chiede cosa stà succedendo in Italia ma io gli rispondo che non ne so' molto, ormai sono più di due mesi che manco dal paese.
Stefano ci accompagna al centro dello stabile dove si trova una piccola casa bianca a un piano, circondata da giardini ben curati, dove davanti a una tazza di caffè mi spiega che questo ospedale è stato costruito subito dopo la fine della guerra nel 1998, ed è il secondo ospedale creato da Strda dpo quello in Kuzbechistan. L'ospedale è dedicato a una giornalista italiana assassinata in somalia, Ilaria Alpi. Tuttora esistono sei ospedali di Emergency dislocati sul nostro pianeta, e operano dottori, infermieri e addetti da tutte le nazioni. questo ospedale può curare solo persone ferite da armi da fuoco e taglio, malattie rigurdanti malformazioni di ossa congenite, ustioni e polmiomelite, in quanto durante il regime di Polpot era stato vietato il vacino con la scusa che era inutile. L'ospedale non batte nessuna bandiera, esiste grazie alle donazioni di nazioni e privati in gran parte italiani, giapponesi e americani. Collaborano con dottori occidentali dottori Kmer, lo stipendio medio mensile di un chirurgo si aggira intorno ai duemila dollari U.S.A., e i contratti di lavoro vanno dai 3 ai 6 mesi a un anno. Il ricovero è interamente gratuito, gli interventi più numerosi si hanno nella stagione secca, quando i contadini si radunano nei campi al lavoro e inciampano in mine ancora attive.
Stefano mi accompagna lungo un porticato dove si affacciano diverse case bianche che formano la parte più grande dello stabile. Durante l'intero percorso siamo accompagnati da due divertenti bambini ricoverati nell'ospedale, uno per ustioni multiple e l'altro per l'amputazione di una gamba dilagnata da una mina.
Entrambi appena possono si appendono alla mia maglietta e furtivamente mi infilano le mani in tasca per cercare di arraffare qualche dollaro.
Facciamo visita alla scuola, formata da una piccola stanza e gestita da un'insegnante di inglese occidentale e una cambogiana. Ci spiegano che questa scuola è stata creata per cercare di dare una istruzione ai bambini ospiti.
Da una porta mi affaccio su un'altra più grande stanza, dove una inserviente locale stà spazzando il pavimento, mentre alcune donne e bambini seduti su stuoie stanno mangiando una ciotola di riso, è la sala mensa, dove ogni giorno viene distribuito riso gratuito ai pazienti. Verso l'ambulatorio altri saloni, in uno più piccolo stuoie su cui i degenti ormai in guarigione possono riposare, in un altro salone più grande file di letti ospitano i pazienti gravi sotto candide lenzuola bianche e ventilatori alle volte.
Stefano ci accompagna in visita agli ammalati gravi. Appena entriamo nel salone ci annuncia come visitatori giunti dall'Europa, i ricoverati che possono fanno il gesto di alzarsi e incrociando le mani con un grosso sorriso ci salutano. Sembrano contenti e molto eccitati della nostra presenza, tutti ci vogliono stringere le mani. Passeggiamo lungo i letti, si vede un po' di tutto, uomini e donne con ustioni su tutto il corpo, bambini a cui è stata appena amputata una gamba o un braccio, altri feriti da armi da fuoco. Mi avvicino a un letto dove una madre srtringe tra le braccia un bambino che stà piangendo avrà non più di 5,6 anni, ustionato sull'intero viso e braccia. Lo prendo tra le mie braccia, gli scarto una caramella che per caso avevo in una tasca e comincio a giocare con lui fino a quando il suo viso pieno di lacrime non si trasforma in un bellissimo faccino sorridente.
Mentre continuiamo il nostro giro tra i letti, Stefano mi fa à conoscere una giovane ragazza ferita a un ginocchio da un proiettile di pistola, mi racconta che lavorava in uno dei tanti bar notturni, e una notte mentre ciocava con un poliziontto, questo, per puro gioco gli ha sparato. Stefano mi racconta che arrivano molti uomini e donne accoltellati in litigi tra famiglie e gang. Altri arrivano con arti dilagfnati esplosi su vecchie mine mentre cercavano di estrarre il detonatore per poterlo vendere e cosi' guadagnare da uno a due dollari.
Dopo una stretta di mano a tutti lasciamo il dormitorio, per visitare la radiologia, la stanza adedicata alla banca del sangue, importante per le improvvise trasfusioni, e un altro grosso stabile organizzato per la terapia intensiva, dove ci viene presentato un chilurgo plastico di Roma, l'unico altro dottore italiano che lavora in questo momento nell'ospedale.
Entrambi i dottori mi spiegano che c'è una grossa collaborazione con la Croce Rossa, i pazienti vengono operati da Emergency e poi trasferiti per la riabilitazione negli ospedali della Croce Rossa. Oltre questi ospedali ci sono molti punti di primo soccorso dislocati nelle zone più a rischio sul confine con la Tainlandia, normalmente costruiti immezzo ai campi in semplici capanne di legno.
Il novantotto per cento dei feriti da mine sono civili, solo il due per cento sono militari, le mine venivano poste per creare terrore tra la popolazione e proprio per questo non dovevano servire per uccidere ma ad amputare, creare deficenza, anchge perchè costa di più curare che seppellire...
Anche se la guerra è ormai finita, la delinquenza armata è sempre più in crescita, e solo un anno fà, una infermiera, una sera mentre si stava recando al lavoro sul suo motorino, è stata aggredita e uccisa proprio davanti al cancello dell'ospedale, per rubargli il motorino.
Per entrare a fare parte dello staff medico di Emergency, bisogna avere almeno dieci anni di lavoro e alcune esperienze in prima linea. L'ultimo ospedale aperto è in Sierra Leone.
I dottori che si vedono in questi ospedali sono veramente differenti, pieni di sole, con gli occhi che brillano, a modo loro viaggiatori, tra i migliori dei viaggiatori. Penso che ci voglia veramente una grande passione per poter lavorare in un posto del genere, rischiando tutti i giorni la propria pelle.
A Battambang oltre Emergency e la Croce Rossa si trovano molte altre associazioni umanitarie.
Alla fine della giornata i medici ci fanno conoscere una ragazza italiana dai lunghi capelli biondi che è qui da tre anni, si occupa della costruzione di sistemi di irrigazione e della tutela del terreno dei contadini. Lei ci spiega che è solo da poco tempo che si stà creando la proprietà privata e quindi registrata, fino a un paio di anni fà chiunque e sopratutto i militari, potevano uccidere un povero contadino, seppellirlo e impossessarsi sella sua terra senza che nessuno potesse dire e fare niente.
Prima che ci salutiamo sia Stefano che gli altri medici si raccomandano di fare molta attenzione quando ci spostiamo di notte, sopratutto a piedi, gli agguati avvengono ogni giorno, poi ci invitano a rincontrci l'indomani.....

lunedì 8 giugno 2009

I miei ultimi 3 Anni di viaggi (Marzo 2006.....Marzo 2009)

EL LOCO NEL MONDO UN MODO DI VIAGGIARE..... Chi sono...Dove vado..coime vado....
(Tratto da alcuni articoli di viaggio e da appunti del diario personale di Sebastiano)

Il movimento è l'essenza del viaggio,
l'importante non è dove andare,
ma andare.

Reporter e avventuriero di viaggio per passione cosi' si puo' definire Sebastiano Ramello trentaseienne di Centallo della provincia di Cuneo. Del viaggio ne ha fatto la sua vita passando dal Centro America ai luoghi più belli dell'Asia, Europa e nord Africa.
Appena rientrato da una sua ultima avventura di 4 mesi che lo ha visto percorrere nuovamente le vie della sua amata India e Nepal (Novembre 2009), dove ha attraversato il deserto del Thar in Rajastan per oltre 600 Km in 11 giorni, lungo le antiche vie dei nomadi, in parte a piedi e in parte su un carretto trainato da Ramu, un forte dromedario maschio, come facevano i nomadi e i mercanti di un tempo, in compagnia di un vecchio amico, Narat, figlio di nomadi. Con partenza da Pushkar una delle sette città sacre dell'India ha terminato il suo viaggio sotto le bellissime mura del forte di Jaisalmer, costeggiando i confini con il Pakistan. “La mia intenzione è stata quella di riscoprire e percorrere le vie dei nomadi di un tempo nel modo più tradizionale, utilizzando solamente le tecniche di sopravvivenza e di vita dei nomadi del deserto del Thar. Per tutto il periodo del viaggio ho seguito il totale andamento della natura, ogni giorno un'alba e un tramonto diverso, si viaggiava dalle ore 5,30 del mattino alle ore 9 di sera senza quasi mai interruzioni, per poi scaldarci durante le freddi notti davanti a un fuocherello creato utilizzando arbusti , legnetti e sterco di vacca raccolti durante il percorso. Il fuoco ci serviva sia come luce sia per cucinare i nostri pasti a base di chapati (specie di piadine fatte con la farina di grano di mais). I chapati venivano cucinati direttamente nei tizzoni ardenti nollo sterco di vacca, a dire del mio compagno di viaggio Narat sembrava che gli dessero un aroma particolare...fortunatamente il mio stomaco ha resistito. (La prima volta che ho cucinato nello sterco ardente di vacca ho pensato al mio dottore a casa che si è raccomandato di non mangiare verdura non cotta e bere acqua con ghiaccio e ora io ero li a scegliere tra stare a digiuno o mangiare chapati cucinati negli escrementi...la fame era tanta e comunque sembra che lo sterco di vacca possegga il minor numero di batteri in assoluto e comunque all'interno del fuoco ci saranno stati 1000 gradi). Per 10 notti ho dormito sotto un cielo completamente coperto da migliaia di stelle, in parte nella mia piccola tenda nelle notti più umide e fredde (umide in quanto il deserto del Thar è l'unico deserto al mondo dove ad agosto viene alluvionato a causa dei monsoni) e in parte direttamente su una stuoia sulla sabbia. Dove una notte ricordo un simpatico avvenimento: Narat con la paura negli occhi prima di addormentarsi si avvicina a me dicendomi che questa notte avremmo dovuto dormire con un occhio chiuso e uno aperto in quanto il pericolo era in agguato, io perplesso in quanto non sentivo nessun pericolo intorno, lo guardo e gli domando quale sarebbe stato questo grande pericolo, lui mi risponde che l'animale che avevamo incontrato nel pomeriggio durante il nostro percorso, una graziosa volpe del deserto, di giorno non dava nessun timore ma che di notte si sarebbe avvicinata e ci avrebbe arrostiti sputando fuoco, sorridendo rispondo di non preoccuparsi che ci avrei pensato io, e se si fosse avvicinata avrei spento il suo sputo con la mia razione d'acqua, cosi facendo mi girai e mi lasciai andare nel sonno.

Nella sua attraversata non sono mancati gli incontri con la fauna del posto e le popolazioni indigene: “Lungo il percorso – prosegue Sebastiano – mi sono imbattuto in due grossi cobra neri che ne fanno da padroni in questi territori, cani selvatici che normalmente di giorno si vedono banchettare intorno alle carogne di animali morti lungo le piste, iran , antilopi e volpi del deserto, non che nelle zone più verdi pappagallini, uccelli di vari colori e avvoltoi. Ha avuto anche incontri e ospitalità da micro comunità che vivono in piccole capanne circolari dai muri di pietra e terra e il tetto in paglia, mai più di 5,6 capanne circondate da recinti fatti da arbusti spinosi che servono a proteggere gli animali domestici e i bambini dall'attacco di animali selvatici. E' stato un viaggio nel complesso duro ma certamente unico e fantastico che mi ha saputo donare certamente tante nuove emozioni”. Le difficoltà di adattamento non sono mancate: “La parte più risentita è stato il forte sbalzo di temperatura, di notte freddo e di giorno molto caldo, con sbalzi anche di 30 gradi. Tecnicamente la parte più complicata non è stato imparare a condurre il dromedario, ma saperlo curare quando ne aveva bisogno, saperlo imbragare al carretto, capire quando era il momento di fermarsi o continuare, capire ogni suo singolo messaggio e trovare l'acqua per abbeverarlo. Durante questa avventura ho raccolto molto materiale fotografico e video a cui insieme a Igor Ferrero si stà lavorando al montaggio per un futuro documentario di viaggio.
Questa è solo una delle tante avventure passate tra India e Nepal di Sebastiano, tra il 2006 e 2007 ha trascorso più di 14 mesi attraversano l'intero paese dall'estremo sud Kaiakumari all'estremo nord in Ladakh negli altopiani della catena himalayana, nei modi più originali seguendo sempre i suoi sogni e guardando dritto verso l'orizzonte.
La prima parte di questi suoi 14 mesi lo hanno visto discendere in solitaria per circa 160Km su una canoa in tek con una piccola pagaia di legno, le bellissime acque interne delle “Back Waters” in Kerala, sud dell'India. L'avventura è durata 4 giorni, bivaccando 2 notti direttamente sulla piccola canoa sotto una zanzariera che lo proteggeva dai piccoli voraci intrusi e in parte dagli improvvisi acquazzoni notturni, e una notte nel famoso Ashram di Amma che si trova in due grossi palazzi rosa lungo queste acque. Amma è una famosa Guru, una delle poche Guru indiane donne, famosa per andare in giro per il mondo ad abbracciare la gente, ma cosa strana nella sua casa, Ashram, tra i tanti divieti e anche vietato abbracciarsi. Sebastiano racconta: “Sono partito da Allepey e percorrendo canali, laghi principali e alcune deviazioni secondarie ho raggiunto Kollam dove è terminata la mia breve avventura. Tutte le mattine iniziavo a pagaiare intorno alle 5 del mattino fino alle 7 di sera, a volte nella penombra della notte, e a volte nella luce di fantastiche albe, circondato da una natura lussureggiante, piantagioni di palme da cocco, anacardi, manghi con i loro grossi frutti, coloratissimi King Fisher (Martin pescatore), piccoli uccelli simbolo di questo paese. In compagnia a volte di giovani ragazzi con le loro canoe che mi inseguivano al grido “Namastè Italy”. La maggior parte delle volte avvolto dai suoni della natura e dolci melodie provenienti dalle puge serali e mattutine dei templi dei villaggi non lontani, dove i devoti ringraziavano la venuta del sole (Suria) o della luna (Chandra). E' stato sicuramente uno dei miei viaggi più lenti in assoluto, ma proprio questo lento movimento di queste aqcue quasi ferme mi ha dato la possibilità di immergermi totalmente anche se in breve tempo nell'ambiente. A livello tecnico non è stata a mio avviso una grande impresa, tuttavia ho dovuto fronteggiare diversi inconvenienti: il sole cocente, l'alto tasso di umidità nella notte, le improvvise piogge notturne, le voraci zanzare, qualche violenta faida politica tra i villaggi. (la prima notte un uomo e stato accoltellato e ucciso per qualche ragione politica in un villaggio sulla sponda di fronte a dove io bivaccavo, e per qualche strano motivo da me non compreso gli abitanti pensavano che io avessi dato asilo all'assassino..). Organizzazione del viaggio: “è avvenuta direttamente sul posto nella cittadina di Allepey, dove da prima ho tentato di acquistare in tutti i modi una canoa, ma visto che nessuno era d'accordo a vendermela ho optato ad affittarne una, ma anche qui non ho avuto riscontri in quanto nessuno voleva lasciarmi partire da solo per questa mia piccola avventura. Gli abitanti sostenevano che sarebbe stato troppo pericoloso, poiché non conoscevo quelle acque e inoltre vi erano faide politiche tra i villaggi...
Cosi’ dopo alcuni giorni, visto che non riuscivo ad ottenere una canoa, ho optato per una guida con canoa. Tuttavia il giorno seguente ho pensato bene di contattare la polizia del posto per spiegare le mie intenzioni di percorrere parte delle Back Waters in solitaria e domandare se effettivamente esistessero particolari pericoli.
Anche la polizia mi vietò di partire elencandomi gli stessi pericoli già ripetuti dagli abitanti i giorni precedenti. E mi vietò anche di partire con una guida dicendomi che le guide conoscono sì e no questi canali e laghi per un raggio di 20Km, e che poi mi avrebbero sicuramente abbandonato o fatto rientrare con una scusa.
A questo punto senza arrendermi cominciai a raccontar loro storie dei miei viaggi passati, il mio amore per l’India, il mio sogno che mi portavo avanti da 5 anni di navigare le Back Waters in solitaria nel modo più tradizionale. Alla fine convinto forse dalla mia passione, il capo della polizia, si alzò e con un sorriso mandò a chiamare un altro simpatico poliziotto, la guida ufficiale della polizia fluviale sulle Back Waters e gli ordinò di starmi vicino, insegnarmi a navigare su queste acque e quando lui avrebbe deciso che sarebbe stato il momento sarei potuto partire, con lui a precedermi via terra e ad avvertire nei villaggi del mio passaggio, in modo da avere una certa protezione; e cosi poi è stato. L’ultimo giorno di questo mio viaggio nel viaggio, su una lunga spiaggia mi sono riunito a questa gentile persona e insegnante, cosi' abbiamo proseguito insieme pagaiando e navigando per le ultime ore fino a destinazione.
Le acque delle Back Waters sono molto calme, ma durante il giorno, a causa dell’influenza della luna e delle maree, le correnti cambiano: a volte spingono verso sud, a volte nella direzione opposta; e quando le correnti vanno nel verso opposto alla navigazione, con queste pesanti canoe si fa veramente fatica a muoversi. Anche per attraversare i laghi occorre aspettare il giusto svolgersi delle correnti e delle onde in modo da poter scivolare più velocemente sulle acque. Questa mia prima avventura in questo mio straordinario viaggio di oltre 14 mesi è avvenuta intorno alla fine di marzo del 2006.
-Un altro dei miei sogni e obiettivi è stato quello di percorrere l’India a cavallo di una vecchia Enfield, motocicletta anglo-indiana tutt’oggi ancora prodotta con le stesse tecniche degli anni ‘40.
Così lasciate le Back Waters sulla sua sella ho attraversato dapprima il Kerala, Tamil Nadu, Karnataka in compagnia di un amico scrittore americano (Erick) anche lui con il mio stesso desiderio. In un secondo momento ho continuato il viaggio in Rajastan attraverso il deserto del Thar e le bellissime città dei Maharajà, lungo le vie dei nomadi insieme ad un’amica conosciuta in Himalaya, Maria Grazia Coggiola, giornalista ed impavida viaggiatrice residente ormai da 6 anni a Delhi.
Insieme, dopo aver attraversato Jaipur e molti interessanti villaggi lungo la strada, in un giorno di monsoni, nella bella cittadina di Pushkar, dove con la mia famiglia da 8 anni portiamo avanti una piccola "Casa Famiglia" autogestita dal nome "El Loco Nel Mondo" che dà ospitalità a persone meno fortunate, abbiamo ridipinto completamente la Enfield con grossi fiori colorati battezzandola "Flower Power".
Con questa motocicletta abbiamo raggiunto Jodhpur la città blu, Jaisalmer e le dune del deserto verso il confine con il Pakistan che in quel periodo erano interamente allegata a causa di imprevisti e insoliti monsoni. Poi abbiamo raggiunto un grosso Mela nella cittadina di Ramdewra (Raduno religioso dove provenivano migliaia di credenti ogni giorno da tutto il nord del paese in onore al loro santone, “Jei Baba Ri” che si dice si sia fatto seppellire vivo dietro il tempio), a circa 35 Km dalla zona di Pokaran dove vengono effettuati gli esperimenti atomici, poi ancora Bikaner con il suo tempio dei topi dove si dice che chi riesce a vedere l’unico topo bianco è una persona fortunata...io l’ho visto!! E poi villaggio dopo villaggio, tempeste di sabbia e acquazzoni dopo acquazzoni, senza ormai fari e clacson in una notte senza stelle, abbiamo raggiunto Delhi totalmente inzuppati giusto in tempo per partecipare come foto reporter alla "Fashion Week", settimana dell’alta moda, e così documentare l’India che cambia con le sue tante feste mondane intorno a migliai di persone che vivono ancor oggi con 30 Rupie al giorno (50 centesimi di euro).
Altra interessante esperienza in questo viaggio, forse per conto mio la più emozionante, è stata attraversare la catena himalayana indiana in autostop per circa 2.000 Km superando i passi carreggiabili più alti del pianeta, ad oltre 5000m, su camion di ogni genere, e per la gran parte del viaggio su mezzi dell’esercito indiano che controlla i confini con Cina e Pakistan, lungo l’intero territorio del Ladakh e della Spiti Valley. L’idea di questo viaggio mi è venuta a Dharamsala pensando ai racconti di avventure di mio padre in autostop in Europa nella fine degli anni ‘ 60: Dharamsala è la residenza in esilio del Dalai Lama, e qui ho avuto la fortuna e occasione dopo aver viaggiato per un breve periodo ai piedi dell’Himalaya, nella Parvaty Valley, con un giovane amico tibetano fratello adottivo di una cara amica di viaggio, di essere ospite per diversi giorni dai monaci rifugiati tibetani, una esperienza bellissima, si viveva tutti insieme in piccolissime casette di legno e lamiere tra i pini di un splendido bosco circondati da coloratissimi fiori. Io dividevo la stanza di circa 25mq con una bellissima monaca dalla testa rasata, e ogni sera altri monaci venivano a visitarmi e così si discuteva del problema del Tibet e della vita in generale, la bellezza di questo popolo e la loro grande voglia di imparare più che di insegnare.
In questa avventura a pollice alzato ho raggiunto Manali, Leh (a 3500m), il Tso Moriri Lake (un fantastico lago a 4200m), la Nubra Valley con i suoi deserti di sabbia a 3500m, e il passo carreggiabile più alto del pianeta: il Khardong La a 5602m, tentando di sconfinare nella zona proibita sul confine con il ghiacciaio di Siacchen e il Pakistan, la linea di guerra più alta del pianeta (dove da più di 30 anni non si spara un colpo anche se le armi continuano ad essere puntate l'una contro l'altra per il controllo di questa striscia di ghiaccio, e dove ogni anno negli inverni più freddi soldati periscono). Alternando l’autostop a solitari trekking e arrampicate classiche d’alta quota come la cima dello Stok Kangry (6145m) chiamata anche dai locali la montagna elegante, ( io non sono un alpinista), vievere a queste quote è stata per me un' avventura unica che mi ha messo in totale connessione con i miei organi interni e con il mondo che mi circondava. Noi abbiamo cuore, polmoni ecc.. che ogni giorno lavorano a ritmo incessante senza che noi ce ne accorgiamo, ma vi assicuro che oltre i 5000m ci si accorge di averli, ogni respiro è una sofferenza ogni battito dà la sensazione che il cuore debba esplodere da un momento all’altro, a 6000m ogni passo diventa una conquista, e la notte nella tenda si riposa più che dormire, sempre concentrati in una forma di meditazione sul proprio cuore e respiro in modo da controllarli.
Questa parte del viaggio è durata circa 4 mesi, 4 mesi su strade mozza fiato, vere e proprie mulattiere per camion, a picco su alti strapiombi a oltre 5000m, tra villaggi di nomadi con i loro Yak (bufali himalayani) alti picchi innevati e torrenti in piena.
Durante questo viaggio mi viene in mente in modo particolare, una notte di autostop verso la Spiti Valley, una notte nera e piovosa su circa 200Km di strade sterrate lungo pendii e tornanti fino a oltre 4000m su un vecchio camion dalla cabina in legno, prima nel suo cassone e poi accanto all’autista e al navigatore. Quella notte con me in autostop c’era una amica con cui stavo dividendo parte di questa avventura (Maria Grazia Coggiola, giornalista a Delhi), e ad un certo punto intorno alla mezzanotte ci siamo fermati in un punto di controllo dell’esercito, dove l’autista insieme ad alcuni locali si è scolato una bottiglia di alcool fatto in casa, mentre io e la mia compagna del momento a passi felpati e nella oscurità ci avvicinavamo a una piccola abitazione, un cubo di cemento e pietre, e dopo aver bussato a una pesante porta di legno massiccio sulla quale una scritta riportava "Control Point", una voce rauca da un angolo della abitazione ci intima di entrare. La stanza era completamente buia e nell’angolo si scorgeva giusto la fiamma di una candela che illuminava una branda di ferro su cui sdraiato un grosso uomo in mutande e canottiera, su uno sgabello al lato un cappello dell’esercito e una camicia a cachi sgualcita. L’uomo sbadiglia, ci sorride, ci prende dalle mani i passaporti, avvicina la candela alle pagine per veder meglio, scarabocchia qualche cosa su un quaderno, riportante una copertina con un famoso attore di Bolliwood, e sbattendo la testa nel consueto cenno di approvazione all’indiana ci fa segno che possiamo proseguire. A questo punto ci ritroviamo nuovamente nella cabina del camion, la pioggia si fa più forte, lungo la scarpata che costeggia la strada si vedono alcuni camion distrutti e accartocciati sul fondo, l’autista sterza e frena a scatti, più di una volta sfioriamo i burroni, a volte dal finestrino scorgo la terra sotto le ruote aprirsi e scivolare giù nella scarpata. Siamo sul passo a oltre 4000m, guardo l’autista preoccupato, lui mi dice che non sta bene, -forse l’altitudine-, dandogli una leggera gomitata gli rispondo che non è l’altitudine ma la bottiglia di Feni che si è bevuto da poco, e che ora è totalmente ubriaco. Gli faccio cenno che forse è meglio per tutti che ci fermiamo a bivaccare lungo la strada e proseguire il giorno seguente, alla fine lui approva. Ci fermiamo tra le montagne in una zona imprecisata a circa 4000m, cerco un posticino ideale dove piantare la mia piccola tenda lontano da improvvise alluvioni e preparare il bivacco per me e Maria Grazia, l’autista e il vice si addormentano in cabina e noi stretti nei nostri sacchi a pelo per poi risvegliarci l’indomani sotto un cielo dipinto di un azzurro unico, salutare i nostri compagni di viaggio, e cosi’ proseguire a piedi fino al prossimo passaggio.
-Ho anche trascorso circa 3 mesi in Nepal, tra stupendi trekking in quota per raggiungere, sempre in autosufficienza, il campo base (4200m) della stupenda Annapurna, uno dei più affascinanti 8000, una avventura bellissima, faticosa ma non impegnativa, in quanto ormai lungo il trekking a ogni 2 ore di cammino si incontrano villaggi trasformati in Guest House per i trekkers, inoltre al campo base dell'Annapurna all’interno di un ospitale rifugio servono pizza e enchilada....incredibile!.
Ho lavorato come volontario alla costruzione di una semplice scuola di bambù e lamiere in uno Slum, progetto di una ragazza belga che da 5 anni con le sue forze e senza aiuti umanitari porta avanti una piccola scuola all'interno dello Slum di Pokhara. Dopo averla conosciuta e dopo essere stato ospite un giorno, tra le lamiere e le capanne di sacchi di questo luogo ho deciso che le montagne avrebbero aspettato e cosi mi sono tirato su le maniche e con l’aiuto dei bambini e di alcuni abitanti abbiamo rimesso in sesto la scuola, vi assicuro che non è semplice lavorare in questi ambienti fatto di sorrisi ma di tanta disperazione a volte peggiorata dall'alcol e dalla droga che sniffano in semplici sacchetti di plastica....
Una altra interessante esperienza in Nepal è stato seguire il movimento Maoista e ritrovarmi un po’ per puro caso e un po’ per carma...sul palco montato nel centro della città a Durbar Square insieme a Pachandra (capo del gruppo maoista e oggi al governo) a Kathmandu durante la sua prima apparizione in pubblico. Una emozione incredibile essere testimone da quel punto dell’ingresso di migliaia di maoisti (non armati) sventolanti bandiere rosse con falce e martello .
-Sempre in India nel marzo del 2007 ho partecipato come rappresentante, insieme alla giornalista Maria Grazia Coggiola, al cinquantenario della Ambassador, autovettura simbolo di questo paese. Qui su ordine della Hindustan Motor casa produttrice della Ambassador, come rappresentanti ufficiali del cinquantenario, abbiamo avuto il compito di viaggiare nel sud del paese alla guida di questa grossa autovettura chiamata anche simpaticamente dai locali Amby, e così documentare il viaggio, io come fotografo e Maria Grazia come reporter giornalistica, attraversando Kerala, Karnataka e Goa con le sue bellissime spiagge. Guidare una auto del genere su queste strade è un po’ come una partita a un video game... bisogna sempre essere pronti a schivare improvvisi autobus scassati, grossi camion, vacche sacre che riposano sulla mezzeria, carretti trainati da buoi dalle lunghe corna colorate, elefanti con i loro maut, uomini in longhi su biciclette con freni a tamburo.
L’india è un paese unico e fantastico, con una cultura vecchia di migliaia d’anni, piena di colori e pronta a regalare forti emozioni, si può definire più un continente che uno stato, visto che raduna centinaia di religioni e lingue differenti, un paese dove si possono ancora incontrare tradizioni intatte da migliaia danni, come nello stato Del Tamil Nadu mai stato invaso da nessun popolo.
Per chiunque voglia ulteriori informazioni su questo mio viaggio può contattarmi via email: ellocolive@yahoo.it o al mio numero di tel. 335 7028463.
Io intanto mi sto preparando a ripartire per un altra lunga avventura, uno di quelle di cui si conosce la data di partenza ma non quella del ritorno, il tempo sarà dettato esclusivamente dal viaggio...-il viaggio finisce quando sei tu a sentire che è finito-.

Sebastiano Ramello.

Una famiglia..un viaggio in India iniziato molti anni fà...

Che cosa è El Loco Nel Mondo?
"El Loco Nel Mondo" nasce come un locale, music hall, nella provincia di Cuneo (Frazione Boschetti di Centallo) nel 1994 dove band musicali da tutta Europa si sono esibite portando la loro musica e arte, per poi trasformarsi nel 2001 anche in una piccola "Casa Famiglia" creata dalla mia Family (Papà,mamma e sorellina) nella bella cittadina di Pushkar nel Rajastan India, dove si cerca di dare un tetto e un po' di dignità a persone meno fortunate (La "Casa Famiglia" è interamente autogestita e finanziata da noi stessi). El Loco Nel Mondo oltre a creare ed essere una struttura è anche un modo di essere un modo di viaggiare e ormai da tempo è diventato il mio modo di propormi lungo le tante vie che percorrono questo nostro fantastico mondo e Pianeta.

"Casa Famiglia El Loco Nel Mondo": Nasce dall'incontro di mia sorella Francesca alla fine degli anni '90 con un bambino di circa 8 anni di nome Shanoj, oggi nostro fratellino indiano. Un giovane orfano di padre che viveva tra bastonate e calci allombra della graziosa cittadina sacra di Pushkar, in una misera tendopoli ai margini del deserto del Thar insieme a un centinaio di altri zingari di etnia Rom, intoccabili e povera gente mai nata e mai morta in quanto ancora molti di loro sono completamente privi di documenti e quindi lontani da ogni sussistenza da parte del governo indiano (In quanto solo dimostrando di esistere si può ottenere una minima sussistenza, come un pugno di riso al giorno).
Come molti altri bambini e vagabondi di strada anche Shanoj si è avvicinato a mia sorella porgendo la sua piccola mano con le unghie sporche di terra e il moccio al naso chiedendo qualche Rupia (moneta indiana), ma i suoi occhi timidi ma pieni di luce hanno attirato l'attenzione di Francesca che avvicinatasi gli domanda di quanto aveva bisogno e per cosa. Lui risponde che gli servivano 100 Rs (circa 1,80 Euro) e che aveva una interessante idea di investimento; comprare una bilancia per pesare la semenza e cosi' iniziare una attività. Francesa compiaciuta di questa idea gli porge le 100 Rs dicendogli che l'anno dopo sarebbe ritornata a Pushkar e che lui avrebbe dovuto renderli il prestito, e cosi' è stato, l'anno dopo tornata a Pushkar Shanoj paga il suo debito ringraziando in quanto per merito della piccola bilancia è riuscito a fare soppravvivera la sua famiglia in questo ultimo anno. Prima che Francesca ripartisse e cosi' lasciasse Pushkar per poi ritornare ancora l'anno sucessivo, Shanoj chiede sempre timidamente ma questa volta con gli occhi pieni di ansia e paura altre 100 Rs che mia sorella allunga senza domande. L'anno sucessivo ritornati a Pushkar questa volta insieme Francesca mia madre ed io, Shanoj rende nuovamente le Rupie e finalmente abbiamo il permesso di entrare nella tendopoli, dove in una notte piena di stelle ci ospiteranno tra la polvere e la terra circondata da immondizie e luride tende in un banchetto formato da pezzetti di carne in una brodaglia liquida e un po' di latte. Mentre noi
mangiavamo e rosicchiavamo le povere ossa nell'oscurità, l'intera comunità privata dell'a loro cena ci stava in torno ad osservarci e sorridere per il piacere della ospitalità donataci. Ci sono voluti 3 anni per ottenere la fiducia della comunità e del villaggio, le madri da subito erano diffidenti, con il pensiero che eravamo venuti a prendere i loro bambini.
Quella notte abbiamo cosi' deciso di impegnarci e tentare di fare qualche cosa per quella gentile e povera fanmiglia. Cosi ancora l'anno sucessivo questa volta mia madre e mio padre sono tornati a Pushkar dove hanno trovato 3 piccole stanze con una graziosa aia, che hanno ridipinto e risistemato riorganizzandola di stoviglie e mobiglie di prima necessità e cosi preparata per ospitare Shanoj e la sua famiglia composta dalla mamma, 5 sorelle e il fratello con la moglie. E' stata una grande festa il giorno del traslocco dalla tendopoli a una casa vera, l'intera comunità di disperati era intorno alla famiglia con gli occhi impregnati di un sogno che si avverava.
Dopo la casa il problema è stato trovare da prima una forma di sussistenza e cosi' mio padre e mia madre a dorso di cammello hanno raggiunto una fattoria tra le montagne del deserto del Thar dove hanno contrattato e comprato due capre femmine che presto ghanno poi partorito un bel capretto maschio e ora a distanza di 8 anni hanno formato un bel gregge che da da vivere a una decina di persone. Dopo le capre il problema era trovare un dottore che si occupasse di loro e qui ci siamo appoggiati a un medico locale che purtroppo ingenuamente abbiamo pagato un anno in anticipo credendo nel suo giuramento di Ipocrate....In realtà il dottore non solo nell'anno sucessivo non si è preso cura di loro ma un giorno dopo che la madre di Shanoj ha comiciato a stare male e tossire continuamente, ha dianiosticato una tubercolosi, immediatamente tutta la famiglia è andata in crisi e nuovamente un'obra scura gli ha avvolti di paura, una paura giustificata dalla morte del Padre già avvenuta alcuni anni prima di tubercolosi. Cosi' la mia famiglia riunita ha deciso di iniziare a sostenere le costose cure prescritte dal medico e dopo un continuato disperato andare e vieni da un ospedale e l'altro un giorno dopo essere rientrati a Pushkar dopo essere stati nell'ospedale di Jaipur per delle radiografie al torace anche queste dianiosticate dal medico radiologo dell'ospedale come tubercolosi, mia madre incontra due giovani e gentili medici italiani in vacanza, e cosi' dopo avergli raccontato il fatto, loro curiosi prendono in mano i referti e dopo averli letti attentamente con un sorriso rispondono che la malattia della mamma di Shanoj non era niente altro che un inizio di bronchite e che sicuramente eravamo stati ingannati dai medici poco professionisti ma tanto ingordi di denaro facile.
Intanto decidiamo anche di trovare il modo di fare ottenere a Shanoj un documento di identità (il passaporto) in modo da dargli una nascita...Anche qui mia madre e mio padre lavorano per un paio d'anni per fare ottenere al piccolo ormai cresciuto bambino di strada questo documento che sembrava mai arrivare, sempre con la paura delle ritorsioni delle caste più alte. Ricordo ancora il giorno in cui mia madre dall'India ci telefona e ci racconta come Shanoj dopo aver pigiato il suo pollice in un spugna imbevuta di inchiostro e poi pressato sui doicumenti del passaporto, rivolto verso mia madre con una lacrimuccia di emozione sul viso ha detto - Oggi sono nato-.
Sono passati ormai diversi anni dal nostro primo incontro con questa gente, ormai Shanoj è diventato grande e non solo, nel 2007 si è sposato con una bella ragazza che ora anche lei fa parte della nostra grande Family e nel 2008 hanno avuto un bellissimo bambino di nome Laky, in onore quanto dice Shanoj della fortuna che hanno avuto.
E dopo tutti questi anni un giorno a Delhi mentre parte della mia famiglia era riunita in una guest house nel centro della città insieme a Shanoj venuto con noi per una breve vacanza nella metropoli, Shanoj inizia a ricordare e raccontarci che prima di vivere come un randagio insieme a sua madre e alle sue sorelle e fratello tra l'immondizia della tendopoli, vivevano insieme al padre un bellissimo uomo dai bellissimi lubnghi baffi e occhi penetranti alla rajastana, in un umile appartamento a Delhi. Ma un giorno la sorella maggiore mentre era alla stazione ad aspettare un treno è scivolata tra i binari ed è rimasta schiacciata dal treno in arrivo. Il padre in una folle corsa è riuscito a portarla all'ospedale di Delhi dove il dottore per intervenire gli ha domandato una grande somma di denaro che la famiglia non possedeva, cosi' che fare? il padre sempre con il cuore in gola non sapendo a chi rivolgersi si è rivolto alla mafia locale agli strozzini impegnando il suo piccolo alloggio e cosi' tornando all'ospedale a pagare per l'intervento alla figlia, ma purtroppo l'intervento iniziò in ritardo, la figlia mori', il dottore si intascò il denaro e loro si trovarono per la strada braccati dagli strozzini e cosi decisoro di partire per Pushkar e vivere con gli scarti della società, ma il padre dopo poco cominciò a sempre più a strae male sia per la morte della figlia che per la situazione creata finchè il flagello della tubercolosi lo ha colpito e portato alla morte. Dopo questo racconto Shanoj ci guarda ci sorride e ci dice che l'incontro con noi è avvenuto solamente un anno dopo dalla morte del padre ed è sicuro che il nostro incontro non è avvenuto per caso ma che è il padre a mandarci....ricordando queste parole mi vengono ancora i brividi alla pelle...
Poi Shanoj continia e ci svela a cosa erano serviti le 100 Rs imprestatogli la seconda volta, ci dice che in quei giorni non sapeva più dove rivolgersi e dove sbattere la testa, la madre stava molto molto male e servivono immediati medicinali, e con quelle 100 Rs era cosi' riuscito a comprare le medicine alla madre e salvargli la vita. Incredibile cosa si può fare con 1,80 Euro...
Oggi la piccola "Casa Famiglia" batezzata da noi El Loco Nel Mondo continua a dare da vivere a Shanoj alla sua nuova famiglia, alla mamma con le figlie, al fratello con la moglie e i suoi figli, oggi ci sono già i nipoti che scorrazzano nell'aia, rincorrendo le piccole caprette che ogni anno nascono e continuano a dare il latte necessario alla sopravvivenza della famiglia.
Abbiamo anche tentato di responsabilizzarli in una auto gestione e facendo si che una piccola parte dell'investimento iniziale al posto di esserci reso sia andato a finaziare un piccolo progetto di un altro bambino amico di Shanoj, con l'aquisto di un ciclorischò, ai tempi il primo ciclorishiò a Pushkar e cosi' creare un lavoro e una volta resi i soldi da parte del nuovo Risciò Waklla queste poche miliaia di rupie gli sono state rese dicendo di donarle a qualche d'uno d'altro che aveva una buona idea di investimento....