EL LOCO NEL MONDO

EL LOCO NEL MONDO
Uno stile di vita

giovedì 16 dicembre 2010

PIEMONTE IN NAPA VALLEY CALIFORNIA

Tratto dall'articolo Dicembre 2010 "Spirito Libero"
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Sono appena rientrato da un interessante, emozionante viaggio attraverso il Nord America all’insegna del buon cibo e del buon vino della mia regione la Regione Piemonte, con sbarco a Miami in USA, terra ispanica, dove il buon Barbaresco DOCG e il Roero Arneis DOCG sotto il sole cuocente dei tropici del Nord America ne hanno fatto da padrone reclamando un grande successo sia tra i buon gustai dei ristoranti di alta categoria, sia tra la gente comune delle passeggiate lungo mare.
Questo viaggio di promozione del made in Piedmont oltre la bella Florida mi ha visto nella capitale della ristorazione italiana in USA, New York per poi, dopo aver dato anche io un morso alla grande mela, attraversare la frontiera e raggiungere il Manitoba, Winnipeg dove ho scoperto che uno dei vini più apprezzati è sicuramente il Barolo DOCG, per poi continuare l’avventura del buon nettare in Ontario e Quebec, attraverso due delle città canadesi, Toronto e Montreal, dove il prodotto italiano è il più apprezzato e sicuramente anche più consumato.
Il momento, o meglio il luogo più emozionante di questo tour americano all’insegna dell’enogastronomia piemontese è stato sicuramente partecipare, grazie all’impegno dell’assessorato all’agricoltura della Regione Piemonte e dell’ufficio IMA, agli straordinari Santé Awards in Napa Valley California, come rappresentante della Regione Piemonte con il compito, tra le migliori vigne d’America, di promuovere il nuovo simbolo identificativo del prodotto di qualità piemontese “Piemonte wine-food made in North West italy” e i suoi prodotti d’eccellenza d’alta qualità, che ne hanno fatto da sponsor ufficiale. Questi Awards organizzati dalla rivista USA wine-food d’alta qualità Santé, della durata di 4 giorni,hanno radunato i migliori chef, ristoratori, e sommelier del Nord America, in un unico luogo dove potersi scambiare idee e degustare nuovi prodotti enogastronomici e in fine l’ultimo giorno, durante la cena di gala, totalmente a base di cucina piemontese, ricevere le premiazioni e gratificazioni dalla rivista, che tutto l’anno gli segue nel loro lavoro artistico culinario. Quando si parla chef e sommelier si parla anche di coloro che si preoccupano degli acquisti e della scelta del menu e lista dei vini, facendo sì che non sono mancati anche rappresentanti di alcune delle più importanti società di importazione e distribuzione degli USA sia per quello che riguarda il vino che i prodotti alimentari.
E’ stata una soddisfazione e grande emozione stappare e degustare con questi grandi protagonisti della ristorazione, vini come il Nebbiolo, Barolo, Barbera,Roero, Dolcetto, Gavi e molti altri abbinati a piatti tipicamente piemontesi come i tajerin all’uovo, formaggi tipici quali Castelmagno, Toma, Bra, Raschera e il tartufo bianco, simbolo della cittadina di Alba. Soprattutto è stato bello vedere i visi gioiosi degli chef americani nell’ascoltare sorpresi le storie di tradizioni antiche di 1000 anni, provenienti dalle miei valli, come la produzione del Castelmagno, formaggio risalente al tredicesimo secolo, anche se si narra che fu iniziata la prima produzione alcuni secoli prima, in quelli che oggi sono i comuni di Castelmagno, Pradleves, e Monterosso Grana in provincia di Cuneo.
In un territorio come la Napa Valley ricca di vitigni risalenti, a non più di 100, 150 anni, è stato per i presenti un momento eccezionale sorseggiare vini rossi come il Barbera d’Asti, provenienti da aziende vinicole antiche di centinaia e centinaia di anni, nate insieme alle mura di castelli, agli inizi dell’anno mille come, il Castello di Gabiano della famiglia Cattaneo o il castello di Tessarolo della famiglia Spinola.
Per il mondo americano è affascinante scoprire che la maggior parte delle attività agricole e tradizioni dei nostri luoghi legate ad esse, sono più antiche del loro Nuovo Mondo, e proprio questa nostra antica storia ci rende unici davanti ai loro occhi, per questo motivo di unicità, non dobbiamo mai dimenticare le nostre tradizioni, in quanto sono il nostro vero potere e valore che ci rende italiani.
In questi giorni di incontri ho avuto anche l’occasione di conoscere più affondo questa bellissima valle che gode di un clima di tipo mediterraneo situata nelle vicinanze di san Francisco, Oakland e Sacramento, circondata da colline ricoperte di fiori selvatici in primavera, e foglie gialle, rosse, arancioni in autunno, che ospitano decine di sorgenti termali dai presunti poteri curativi, e percorsi da percorrere a piedi o in bicicletta che attraversano piccoli e medi villaggi dove cantine e ristoranti, molti anche italiani ne fanno da padroni. Il 60% delle aziende vinicole della California si trovano proprio in questa zona tra Napa cittadina capitale della vallata e Sonoma Valley altro prestigioso territorio della buon nettare degli dei. I vini di questi territori non hanno avuto un gran apprezzamento fino al 1976, inoltre non esistono vitigni autoctoni, ma i più importati dall’Italia o Francia. Tra i bianchi tipici si trovano il Fumé Blanc, il Riesling, il Gewurztraminer, lo Chenin Blance e il California Chardonnay, tra i rossi i più comuni, Pinot Noir, il Merlot e il Beaujolais, il Cabernet Sauvignon e il pepato Zinfandel, da non dimenticare il Porto (rosso e bianco) e il dolce Muscat. Proprio questa tipicità e atmosfera rende questi luoghi, sia la Napa Valley che la Sonoma Valley una delle zone in assoluto più piacevoli da vivere negli interi Stati Uniti d’America. E una di queste è sicuramente il villaggio di Calistoga con le sue prelibatezze gastronomiche e la sua acqua, o Santa Rosa il principale centro urbano della Wine Country che vanta un bel giardino botanico e diversi centri per le arti dello spettacolo non che il Charles M Schulz Museum che rende omaggio all’autore di fumetti che visse a lungo in questa cittadina e alle sue famose opere: Snoopy, Lucy, Linus, Schroder, La Grande Zucca e ovviamente lo sfortunato Charlie Brown. Da non dimenticare il villaggio di Younville dove quest’anno si sono tenuti i celebri Santé Awards, uno dei più grandi centri turistici e urbani della Valle che si rivolge a un visitatore di classe medio alta con il gusto delle cose fantastiche. Tra i suoi ristoranti più rinomati sicuramente il French Laundry un eccellente locale valutato come uno dei più rinomati della West Coast dove è quasi impossibile perfino prenotare. Lungo le strade o meglio la strada che taglia in due il villaggio si vedono a ogni angolo parcheggiate lunghe limousine bianche e nere con autisti al volante, e vetri oscurati dove all’interno, coppie e amici sorseggiano bottiglie di vini pregiati.
Proprio con una di queste, come le chiamo io bassethound a 4 ruote (limousine) è stato il mio arrivo agli Santé Awards insieme alla CRN, radio nazionale che ha seguito l’intera presentazione dei prodotti piemontesi e che mi ha ospitato in tutte le sue puntate come testimonial del buon vino di Langa, Roero e Monferrato in una discussione amichevole sui prodotti italiani di qualità in USA, lasciandoci con la promessa di una grande sfida….mettere insieme i grandi territori del vino del Nord America quali Napa Valley e Sonoma Valley con i grandi territory del vino del Piemonte North West Italy.
Per chi volesse saperne di più www.nwitaly.com
Buon viaggio, buona bevuta e buona mangiata a tutti

Sebastiano Ramello
18-11-2010

giovedì 14 ottobre 2010

Un viaggio Di Una artista Italiana nell’India che cambia

Ottobre 2010

La passione del viaggio e della scoperta è un nostro vizio di famiglia che ormai si tramanda da generazioni, fin dall’inizio del secolo scorso dai miei bisnonni materni e poi dai nonni materni e paterni fino oggi…a noi!
In queste pagine di “Viaggio nel Viaggio” oggi lascio la parola a una artista giramondo appassionata di quel gran paese che è l’India, mia sorella Francesca Ramello.

-Sono trascorsi parecchi anni dal mio primo viaggio in India anni che sono scritti nel cambiamento di questo immenso continente.
La prima volta che decisi di fare un viaggio nel subcontinente non avrei mai immaginato che avrebbe in qualche modo scritto la storia della mia vita fino a questi giorni. Avevo 23 anni e una gran voglia di mettere i miei sogni in uno zaino per scoprire il mondo quel tempo non conoscevo molto dell' India,ero affascinata dai racconti sentiti qua e la e come un po' tutti immaginavo profumi e colori,come tanti ero una fan di Ghandi e come alcuni avevo capito che e' un immenso continente dalle mille culture,religioni stati sociali aggrovigliati e aggrappati ad un unica terra. Quello che però non sapevo ancora era che negli anni ,amandola e odiandola ,l'India sarebbe diventata parte della mia vita.
Il mio primo viaggio,nel 1998,lo intrapresi con mia mamma,ottima compagna di viaggio,sognatrice appassionata di geografia. Non avevamo un piano ben definito,arrivammo a Delhi,ricordo ancora quell'aeroporto gremito di persone,i loro sguardi fissi su di noi,il vociare,ma sopratutto l'odore acre dell'aria un misto di fragranze chimiche e di cibo,di spezie di umanità,un odore che ti si stampa nella mente,l'odore di Delhi che tutt'ora mi abbraccia ogni qualvolta gli sportelli dell'aereo si spalancano e io mi dico ''...sono di nuovo qui''.Arrivate a Paarganj Il nostro aspetto di due novelle turiste doveva essere decisamente vistoso,commercianti tassisti procacciatori di affari ci si scagliarono addosso,chi tirava da una parte chi dall'altra,chi litigava per strapparsi il business,ricordo che il mio primo pensiero fu quello di tornare in dietro,tutto mi sembrava diverso da come mi aspettavo,gli odori di incenso e oli che sognavo erano ora quelli di una fogna melmosa a cielo aperto,i colori accesi erano ora i grigi degli indumenti dei bambini di strada che coi loro enormi occhi neri imploravano per una rupia,il mistico era business e noi turisti da consumare. Quante cose sono cambiate da allora, Paarganj ha una nuova faccia,pochi mesi fa hanno restaurato la strada,distrutto gli edifici abusivi,c'e' tanto cibo per terra e stata costruita la metropolitana e io cammino indisturbata quasi come se ormai,sebbene il mio aspetto occidentale,io facessi parte di questa strada.
La mia in India e' una storia di amore e arte,di come la mia vita di artista in cerca di nuove ispirazioni si sia legata a quella di una famiglia rajastana che arrancava per sopravvivere,e di come ora io sia qui ad esporre il mio lavoro in una luminosa galleria di arte contemporanea di Kolkata.
Durante il mio primo viaggio, a Pushkar incontrai,come spesso succede,un bimbetto arruffato. Non aveva il fare scaltro degli altri bambini di strada,voleva pulirmi le scarpe e mi zampettava dietro bisbigliando timidamente. Ammetto che sul momento lo trattai anche male,ero stanca,arrivavo da interminabili viaggi in treno,avevo avuto esperienze a volte non piacevoli,avevo rischiato di essere violentata su un treno di terza classe lungo il tragitto Agra Benares,malattie povertà degrado mi si erano scagliata addosso con una forza impressionante,mi sembrava di essere stata centrifugata in una lavatrice a 60gradi e ributtata fuori per stendermi malamente su un palo barcollante.
Ma successe qualcosa tra me e quel bimbetto di nome Shanoj,una connessione bizzarra. Ora lui mi racconta una strana storia,dice che sapeva del mio arrivo dice che un sadu gli aveva annunciato la venuta di una principessa straniera che avrebbe cambiato la sua vita e io sorrido perche penso ai film di Bollywood e all'effetto che hanno fatto a questa popolazione.
Quaranta giorni dopo il mio arrivo in india un aereo mi riportava alla mia realtà,ero felice di tornare in Italia,bistecche,vino,lasagne mi attendevano composti su una bella tovaglia pulita,potevo riaccorciare i vestiti,camminare per le vie del mio paese indisturbata,sedermi a un bar e bere un aperitivo senza sentirmi sbagliata,ma qualcosa era cambiato e il pensiero di quella famiglia buttata in strada come rifiuti mi assillava. Dov'era il padre? perché quel bimbetto a differenza degli altri era cosi timido?
Sei mesi dopo il rientro in Italia annuncia il mio desideri di tornare in India per ritrovare Shanoj.
Non ebbi grandi consensi,a parte la mia famiglia,la maggior parte degli amici e anche il mio compagno di allora cercarono di destarmi da quella folle idea con tipiche frasi come:
''...Non puoi cambiare il mondo,''...non lo ritroverai'' ,''...cosa puoi fare da sola'',e addirittura qualcuno mi disse ''...questa e' la cultura del luogo non puoi cambiare le regole'',sarà' anche vero ma io non ci vedo nulla di legato alla cultura in una famiglia disperata e affamata e in ogni caso ormai ero determinata a tornare in India. Ripresi il mio zaino e lo riempii di speranza e di due metri di tela bianca da dipingere.
Sono passati 12 anni da allora,io sono tornata in India 15 volte,Shanoj ha imparato a mangiare gli spaghetti con la forchetta e io riso e Dal con le mani.
I primi anni sono stati molto difficili,la diversità delle nostre culture era abissale,ho dovuto riuscire a farmi accettare da mamma Shanti che sebbene il suo bisogno mi guardava con astio,terrorizzate dall'idea che gli portassi via il suo piccolo. Ricordo che per farmi accettare da lei,durante il mio terzo viaggio, ho trascorso un intera notte a studiare una frase in indi su un minuscolo dizionario. Il giorno dopo andai sul luogo dove la famiglia viveva sotto una tenda di plastica nera,srotolai col cuore in gola la mia frase che diceva più o meno cosi:
''Io sono qui con umiltà per farmi accettare come amica,non ho nessuna intenzione di disturbare la vita della tua famiglia e di portare via l'affetto del tuo figlio..."
Era la frase più d'effetto che potessi immaginare.
Mamma Shanti mi guardo fissa coi suoi occhi segnati da profonde occhiaie,attorno a noi si era riunita una folla confusa e disordinata tutti ridevano sonoramente. Ebbi l'impressione di aver sbagliato qualcosa,ero estremamente imbarazzata. Dopo un lasso di tempo che a me sembrò interminabile,le profonde rughe sul volto di mamma Shanti si rilassarono,la sua bocca segnata dalla fatica si piegò in un sorriso,tolse dal suo capo il velo rosa che le copriva i capelli e con un gesto che a me quasi sembrò una danza lo posò su di me .Mi sentii tirare verso lei e un attimo dopo mi ritrovai tra le sue braccia scarne. Eravamo diventate amiche,erano passati 3 anni ma finalmente potevamo sentirci entrambe in pace. In quegli anni e in quelli successivi riuscimmo a registrare Shanoj e sorelle all'anagrafe,togliere la famiglia dalla strada,creargli un piccolo gregge di capre e addirittura la possibilità di dare aiuto a chi era in condizioni peggiori delle loro. Un giorno andai a fargli visita e trovai alla loro mensa un signore e una signora,lui vecchio o forse solo consumato lei gravida,chiesi se erano parenti (qui sorelle e zii sbucano come i funghi),Shanoj mi disse di no e mi spiego che quelle due persone avevano avuto un problema economico quindi per qualche giorno avrebbero mangiato da loro.
Passarono 8 anni facendo avanti e in dietro tra Italia e India .Ho dipinto alcuni dei miei lavori migliori nascosta dagli occhi di Shanoj che non riusciva ad accettare le mie immagini nude e mentre mi diceva "Pranci this no good" io scoprivo che nel suo portafoglio aveva l'immagine di una pubblicità di biancheria intima con una signorina bionda in mutande e reggiseno.
E poi, per quattro anni ,non sono più tornata in India,La famiglia Shingiwal ora stava bene,con l'aiuto di mio padre eravamo riusciti ad affittare una modesta abitazione dove potessero sentirsi protetti,avevano il pozzo in giardino .Shanoj era diventato un ometto e io in qualche modo avevo realizzato che era ora di pensare a me,al mio lavoro e alle mie esigenze e in oltre sentivo che la loro vita scorreva ugualmente anche senza la mia presenza. In questi quattro anni ho viaggiato altri paesi ,ho vissuto per un periodo in Irlanda,,sono maturata nel mio lavoro e ho inaugurato una serie di esposizioni. Di tanto in tanto Shianoj ci telefonava per darci notizie, per lo più positive,sperando che io gli dicessi "sto tornando".E' stato immensamente difficile stare lontano da loro tutti questi anni,non esserci per il matrimonio di Shanoj,di Ghita e Lechmi,le due sorelle minori. Ho appreso della nascita di Lucky,il primo figlio di Shanoj,mentre ero in un pub in Irlanda e mi sono sentita per la prima volta zia,ed e' cosi che il 31 Gennaio 2009 ero di nuovo in volo,destinazione Delhi.

Primo gennaio 2010,l'odore di Delhi mi invade nuovamente le narici,mi vengono in mente mille ricordi. IL Tre Gennaio 2010 Shanoj appresa la notizia che sono arrivata mi raggiunge a Delhi,si sistema in una camera nello stesso albergo in cui alloggio io,ora si può fare perché seppure appartenente ad una casta bassa ha il passaporto. Quanta fatica riuscire a fargli avere quel passaporto,impiegammo più di due anni. Portavamo vecchi telefonini dall'Italia e lui vendendoli guadagnava i soldi per pagare le pratiche. Ore passate nel fatiscente ufficio di polizia di Pushkar per sentirsi dire " torni domani",a subire la volgare libidine degli ufficiali felici di farci aspettare sperando che sfinendoci potessimo passare una bustarella sottobanco per sveltire le pratiche. Fino ad allora le parola pazienza e diplomazia non sapevo cosa fossero,le ho imparate seduta in quell'ufficio e un giorno il passaporto arrivò. Ero in Italia circa 8 anni fa chiama Shanoj e sento dire "Pranci Pranci passport caming...".
Tornai entusiasta in India e quando Shanoj mi mostro' il documento sopra c'era scritto... Shanoj e lo stampo dell'impronta digitale del suo pollice. Lo guardai incredula,dov'era il cognome? come poteva quello essere un documento valido? e realizzai all'istante che era tutto da rifare,fu la prima volta che facevo piangere Shanoj.
Ripensando a quella esperienza e guardando all'India di oggi mi rendo conto che con un vecchio telefonino ora non ci farei più nulla. Non importa se vivi sulla strada o in una reggia,se sei un conducente di Chicloricshow o un avvocato,se vendi sementi al mercato o hai una boutique in South Delhi,qui tutti ora hanno un telefonino,pare sia l'unica cosa che accomuna ogni casta indiana.
Il 5 Gennaio 2010 per la prima volta io e Shanoj viaggiavamo insieme verso Pushkar in un barcollante bus a cuccette,l'emozione era tanta ma non posso dire che sia stato un viaggio divertente. Ho passato 12 ore a vomitare in tutti i sacchetti di najlon che riuscivo a trovare con Shanoj che cercava di spiegarmi che si poteva fare uguale fuori dal finestrino e va glielo a far capire che bisogna esserci nati in India per riuscire a vomitare dal finestrino di un bus in movimento ,sono capacità scritte nel DNA ,non basta essere venuti in questo paese 15 volte.
Circa dodici ore dopo questo viaggio infernale eravamo a Pushkar,circa 8 giorni dopo ero di nuovo in viaggio verso Delhi con un ambizione da realizzare. Durante i giorni trascorsi a Pushkar all'inizio di quest'anno ho ripreso in mano un desiderio che avevo lasciato in sospeso 4 anni prima. Un desiderio che onestamente non e' solo il mio ma e' anche quello della mia famiglia ,che tutta ha partecipato, e cioè acquistare un modesto appezzamento di terra dove Shanoj e la famiglia possano costruire un abitazione e rendersi definitivamente indipendenti.
Bevendo un chai con Shanoj,che ormai osserva le foto dei miei quadri senza più vergognarsi delle nudità,gli racconto che desidero esporre il mio lavoro in India e che se realizzo questa volontà e vendo anche solo una delle mie opere inizieremo a pensare seriamente all'acquisto di un terreno ma lui ha un compito importante da svolgere,deve stare a Pushkar,lavorare tanto perché io da sola non potrò affrontare tutte le spese ma sopratutto deve sperare nella mia riuscita deve tutti i giorni fare una puja pensando a me che sarò a Delhi a promuovermi come artista.
Ho pensato di usare l'arte come mezzo perché e' un linguaggio universale,non ha razza ed accomuna tutte le culture.
Il mondo dell'arte contemporanea in india in questi anni si e' evoluto enormemente. Durante i due mesi trascorsi a Delhi ho visitato innumerevoli gallerie d'arte moderna,molte delle quali mediocri e piuttosto commerciali ma alcune sorprendentemente all'avanguardia. Durante i miei viaggi passati in india le poche gallerie d'arte contemporanea che avevo visitato fin ora non mi avevano dato grande soddisfazione,le opere mi sembravano per lo più un esotica replica delle avanguardie occidentali del '900,velleità tecniche con poca personalità ma devo anche dire che fino ad ora avevo viaggiato per lo più le zone rurali,villaggi di montagna o le spiagge del Sud.
A Delhi all'inizio di quest'anno la mia ricerca sull'arte contemporanea mi ha portata a scoprire l'altra india quella delle classi sociali elevate,quella dove modernità e conserviamo convivono in un ambiente di lusso e abbondanza ,arte e il fare arte e' un mondo riservato alle caste elevate ed e' un mezzo per sentirsi globalizzati in un India in perenne discussione tra nazionalismo e cosmopolitismo.
Negli ultimi anni l'India ha avuto un boom economico impressionante,si sta inserendo su tutti i campi nell'economia mondiale come una potenza. Molte leggi conservatrici sono state rivalutate,da poco per esempio e' stata abolita la legge contro l'omosessualità' maschile. Le donne stanno occupando spazi di maggiore importanza nella vita sociale e ,cosa molto percepibile nelle grandi città,la rivoluzione femminile e in pieno atto. Già dalla prima decade del ventunesimo secolo il modo di guardare all'arte fu interamente rivoluzionato e furono prese in considerazione nuove tecniche di espressione artistica. Video,installazioni,sculture interattive,fotografia e stampa digitale iniziarono ad essere accettate e a prendere un posto di riguardo nel mercato dell'arte ,ma e' negli ultimi anni che l'arte indiana prende un valore internazionale ed inizia ad avere un concetto discusso e discutibile di globalizzazione.
A Delhi mi sono immediatamente resa conto che promuovere la mia arte non sarebbe stato facile,d’altronde non l'ho e' stato in passato neppure nei paesi occidentali,inoltre essere una donna da sola mi era ancora meno di aiuto,durante i vernissage attiravo molta attenzione ma spesso arrivavo alla conclusione che più che al mio lavoro le persone locali erano interessate al colore della mia pelle,al mio stato sociale e,cosa estremamente difficile per me da accettare,alle scuole che ho frequentato. Gli uomini più che chiedermi quale fosse la mia espressione artistica si chiedevano dove fosse mio marito,e cercavano di intuire quanto facile sarebbe stata una occasionale relazione con me. Quasi tutti gli artisti di una certa fama avevano una casa a Goa dove gentilmente mi avrebbero invitata e io tornavo al mio squallido albergo in Paarganj sempre più ammaccata ma con viva la determinazione a riuscire nel mio progetto. Inoltre Shanoj ogni sera ,verso le 21.00 ,mi telefonava per assicurarsi che fossi in camera (e quanto gli ho mentito!!!) e per sapere quando avrebbe dovuto smettere di pregare e prendere il treno per venire alla mia esposizione a Delhi e per me questo era uno stimolo enorme a non lasciarmi prendere dallo sconforto.
L'ultima galleria che ho visitato prima di decidere di tornare in patria,si chiama ArtKounsult,si trova al sud di Delhi ad Hauz Khas Village,e' una zona affascinante,piuttosto chic coi suoi negozi trendy e innumerevoli gallerie d'arte. Quando un amico,un artista fotografo che aveva da poco inaugurato una personale all'Habitat Center,mi diete il contatto sul primo momento non lo presi quasi in considerazione,ero stanca e avevo visitato innumerevoli spazi espositivi,avevo attraversato in largo e in lungo tutta Sud Delhi per 2 mesi e l'idea di litigare nuovamente con il conducente di un tuctuc per accordarci sul prezzo,di stare un ora su quel mezzo nel caotico traffico di Delhi,di parlare con l'ennesimo gallerista che ti racconta di quanto l'India sia in progresso e di quanto il mercato per quel che riguarda gli artisti stranieri sia quasi inesistente,mi dava la nausea. All'ultimo momento,un giorno prima della mia partenza per l'Italia,contattai la galleria per prendere un appuntamento. Lo spazio espositivo era interessante,la collettiva in atto vantava alcune opere valide e il curatore,una gentile signora di nome Neelam,si dimostrò subito interessata al mio lavoro.
Il 13 Maggio di quest'anno ritornai in Italia,ripresa la frenetica vita lavorativa giorno dopo giorno ho dimenticato di contattare quella gallerie e alla fine mi sembrò addirittura troppo tardi per ripresentarmi,e' facile cadere in fobiche insicurezza quando si promuove se stessi e spesso quando si arriva vicino a un traguardo ambito si rallenta la corsa.
Nel mese di Luglio di quest'anno,mentre stavo lavorando in Toscana,ricevo una e.mail dove una galleria d'arte di nome Aakriti mi invitava ad esporre in collettiva, penso immediatamente che il mio lavoro di ricerca a Delhi aveva dato i suoi frutti ma rileggendo il messaggio mi rendo conto che lo spazio si trovava a Calcutta, il legame tra questo invito e il mio soggiorno a Delhi rimane tutt'ora incognito,ma irrilevante sono solo felice di avere la mia prima prima mostra in India. Ricordo quante volte a Delhi le persone incontrate avevano tentato di smorzare i miei entusiasmi dicendomi che solo con potenti conoscenze avrei esposto in India ma io non ho mai smesso di crederci e di fare a modo mio,dovevo riuscirci perché anche Shanoj , che anni prima guardava all'arte con interrogazione chiedendosi perché per me potesse avere un valore cosi enorme ,ci credeva.
Il 20 Settembre ero in volo verso Calcutta.
Delle due opere che ho deciso di portare in mostra una e' ''Kodai in metamorfosi'',una scultura di gesso lunga circa un metro e mezzo,alcune persone,con più razionalità di me, hanno cercato di destarmi dall'idea di caricarmi di un tale peso inoltre ha una struttura piuttosto fragile,avrebbe potuto rompersi durante lo spostamento,ma per me era fondamentale portare lei.
Chi conosce il mio lavoro sa che negli ultimi anni e' stato concentrato sulla rappresentazione di un umanità soffocata da schemi autoimposti,un umanità che ha collassato i propri istinti per crogiolarsi in un illusorio e materialistico mondo,un umanità,però,forte abbastanza da urlare la sua ribellione(per me l'urlo e' un atto positivo,volontà di cambiamento).L'idea concettuale del mio lavoro artististico e' stato quello di invitare l'osservatore a vivere le emozioni dei personaggi che rappresento perché dal momento che riconosciamo il nostro urlo interiore possiamo legittimizzare la nostra personale ribellione.
Le opere che ho deciso di esporre durante GenNext V all'Aakriti art Gallery rappresentano il passo successivo all'urlo,il tempo della metamorfosi,il momento di riconciliazione col nostro universo emozionale ma anche il momento di sbigottimento di fronte a una nuova vita in un mondo che cambia. Sono la caricatura di una nuova umanità senza razza,figure cosmopolite in contrasto con la fobica ipocrisia delle nostre razze in perenne lotta per dominare le une sulle altre.
Il concetto di razza e' una costruzione mentale e Io e Shanoj in qualche modo negli lo abbiamo inconsapevolmente imparato superando gli ostacoli creati dalle nostre distinzioni culturali e le nostre diversità fisiche.
Il 21 Settembre arrivo a Calcutta,un po' spaventata dall'idea di dovermi muovere da sola in una città che non conosco,non avrei problemi a riguardo se non fosse stato per l'ansia di dover trovare un luogo adatto per risistemare la scultura nel caso fosse arrivata danneggiata.
Non avendo prenotato una stanza di albergo mi affido alla Lonely Planet che mi dice che in Sudder Street avrei trovato il paradiso del turista low cost.
Calcutta mi e' piaciuta fin dal primo momento,la potrei definire una città gentile. La disponibilità dei suoi cittadini e la cordialità con cui mi hanno offerto aiuto, fin dal primo momento, mi hanno fatto sentire immediatamente più a casa di quel che avrei immaginato. Durante i giorni prima dell'inaugurazione ho dovuto restaurare,come avevo temuto e previsto,la mia scultura
Il ragazzo del servizio in camera la prima volta che,portandomi il caffè, l'ha vista distesa sul mio letto le ha toccato la testa,si e' portato le mani alla bocca e l'ha baciata,un gesto importante in India. Un gesto per me estremamente simbolico che da subito ha motivato la mia decisione di portarla qui.

L'Aakriti art gallery in collaborazione con L'Emami Chisel Art si e' preoccupata di sistemare noi 32 artisti,curatori e critici ,durante il periodo di inaugurazione e i successivi 2 giorni di Symposium, in un albergo non lontano dalla galleria,si e' raccomandata di non farci mancare cibo e bevande e ha messo a disposizione un paio di auto per gli spostamenti.
L'opening di GenNextV mi ha catapultata in un mondo indiano costituito da una nuova generazione maschile e femminile estremamente attiva sia politicamente che socialmente,in cui l'arte ha vistosamente un ruolo fondamentale per smuovere le masse e renderle consce dei cambiamenti in atto. La libertà di espressione che ho trovato nell'arte contemporanea e' molto più di quello che potevo immaginare anche se in molti casi il fare arte e' ancora molto legato ad un idea accademica e alle velleità tecniche più che alla vera espressione concettuale e personale .Per me,per esempio,e' stato piuttosto ridicolo dovermi presentare durante il vernissage dicendo il mio nome la mia origine e il nome della scuola in cui ho studiato.
Il giorno dopo il vernissage,abbiamo partecipato a due giorni di symposium che hanno coinvolto oltre agli artisti anche critici,storici dell'arte e curatori. Sono stati giorni molto intensi a volte forse anche troppo saturi di messaggi ma la necessità di definire il presente artistico qui ha un peso enorme. I temi delle conferenze erano per lo più legati all'idea della globalizzazione dell' arte locale,a come e quale forma e pratica d'arte ha le potenzialità di creare democrazia e all'interrogarsi se l'arte sia mai stata democratica. Potrei dire che le conversazioni durante il symposium sono state troppo teoriche e retoriche,ma ho anche compreso che l'intenzione di questo symposium non era volto a creare teorie ma a capirle e analizzarle fino in fondo cosi che queste idee venissero divise in frammenti cosi da fare la loro attuazione un lavoro più facile.
L'idea di Mr Vikram Bachhawat,il direttore dell'Aakriti art galery,e' di creare ,con GenNext, un supporto per nuove generazioni di artisti ma anche di incrementare le nostre esigenze intellettuali.
Durante il symposium ho conosciuto un ragazzo di nome Rahul,e' editore di una rivista di arte contemporanea di Delhi,abbiamo avuto subito una buona connessione in campo artistico e si e' interessato parecchio al mio lavoro,ha voluto che lo accompagnassi in galleria per rivedere le mie due opere esposte. Ha una gran sensibilità e un occhio estremamente critico per quel che riguarda l'arte contemporanea,durante le conferenze l'ho visto intervenire sovente contrastando chiarendo,sbriciolando idee a lui poco chiare e la sua visione del ruolo dell'arte contemporanea indiana mi e' sembrata molto più internazionale di quanti abbiano speso parole sull'idea di globalizzazione.
Dopo aver osservato attentamente le mie opere e ascoltato le mie spiegazioni,mi chiede se sono interessata ad esporre in collettiva a Delhi. Certo che si! mi dice che la rivista di cui e' editore fa capo ad una galleria d'arte di Hauz Khas village, a questo punto mi manca solo più il nome.
Art Kounsult.
Coincidenze? strane combinazioni di eventi? sono appena stata invitata ad esporre nell'ultima galleria che avevo contattato a Delhi circa 5 mesi fa. Che strano percorso per arrivare ad avere la mia mostra a Delhi.
E da qui si apre un nuovo capitolo....

Francesca Ramello
pubblicato da Sebastiano Ramello

venerdì 20 agosto 2010

In Kayak lungo LA DURANCE

Tratto dall'articolo su Spiurito Libero di Agosto 2010

La passione per l’avventura e del viaggio mi ha portato questa volta nel territorio delle Alti Alpi in Francia sul confine Italiano dove con un gruppo di amici e esperti canoisti ho deciso di intraprendere un viaggio lungo le acque impetuose di uno dei fiumi europei di montagna, più ambiti dagli amanti degli sport acquatici, dalla canoa classica a una pagaia, al rafting, al kayak un eccezionale strumento per discendere le rapide più vertiginose, inventato dai popoli esquimesi per la caccia alla balena. La caratteristica di questa imbarcazione monoposto e quella di poterla capovolgere e con un movimento tecnico chiamato eskimo riportarla nella posizione di navigazione.
Proprio con uno di questi kayak insieme ad Alessandro Mattalia, Manuele Mandrile, Stefano Bauidino, Stefano Cacciolla, Pier Barolo, Francesca Sacchi e Franca Demaria ho deciso di dedicare uno dei miei tanti viaggi e così ritrovarci ad agosto lungo le rive del fiume La Durance pronti a discendere le sue acque spumegianti.
La Durance è un fiume lungo 320 Km nel sud della Francia, nasce sul monte Chenaillet a 2.634 metri sul livello del mare per poi gettarsi nel Rodano a qualche chilometro a sud di Avignone. Nell’antichità era una navigazione molto difficile a causa delle sue forti rapide e della sua continua piena, mentre oggi, sia le rapide che la sua portata si sono ridotte, a causa della creazione del lago artificiale di Serre-Poncon e di alcuni canali intermedi. In epoca preromana questo fiume era una sorta di linea di frontiera tra due popoli gallici accampati lungo le sue coste: i Galli Cavari e i Franchi Salii. Secondo lo storico romano Tito Livio La Durance venne attraversata da Annibale e dal suo esercito prima di varcare le Alpi.
Fino al Lago di Serre-Poncon La Durance scorre in una larga valle circondata da alte montagne, chiamata Brianconnais. E’ un fiume alpino a regime nivale con la sua massima portata in giugno. Scendendo da Montgenèvre riceve le acque della Clarèe, attraversa Briancon e riceve la Guisane, dirigendosi più a sud riceve le acque della Gyronde e del Guile per poi gettarsi nel Lago di Serre-Poncon un po’ più a valle di Embrun. Dopo il lago l’ambiente cambia fortemente, le montegne lasciano il posto a degli altipiani e nei pressi di Sisteron riceve il Buech e tanti altri affluenti minori. Nella sua ultima parte del suo percorso La Durance scorre in una grande piana di vari kilometri di larghezza, fino a 5 Km a Manosque per poi ricevere molti altri affluenti, ultimo il fiume Verdon nei pressi di Vinon-Sur-Verdon.
La nostra avventura ci vede partecipi nel primo tratto del fiume fino a al Lago di Serre-Poncon dove salti e rapide lo rendono più emozionante.
Il momento più intenso è la partenza subito dopo la preparazione, kayak a monte e con un dolce ma deciso movimento di anca, posizionando la pancia dell’imbarcazione contro corrente si vira per così portare la punta a valle e iniziare la discesa e la lunga lotta con le onde e salti creati dalle tante rocce. Lungo il percorso dall’Argentier ci si imbatte in tratti dove le rapide lasciano spazio al fluire di acque più lente e dove il letto del fiume si allarga in modo da lasciare un attimo di respiro così che si possa ammirare il paesaggio circostante, le alte vette delle Alpi che come sentinelle costeggiano il fiume e la valle, aironi grigi che dalla vegetazione spiccano il volo allargando le loro lunghe ali in movimenti leggiadri per virare direttamente sulle nostre teste e poi andare ad appoggiarsi su un pezzo di tronco in mezzo al fiume o su un albero sulla sponda opposta. In questi momenti di pace e navigazione si sente una grande sensazione di totale libertà in un tutto uno con la natura e la sua forza selvaggia. L’idea della navigazione, di essere disteso all’interno di una piccola imbarcazione in plastica di pochi chilogrammi, completamente immerso in uno dei quattro elementi , cercando di dominare la forza della corrente è una sensazione unica di piacere e concentrazione nello stesso momento.
Durante questa discesa in una piccola spiaggia incontro un gruppo di canoisti che scopro essere della Federazione Italiana Canoa Turismo, e tra di loro intento a preparare il pasto un interessante personaggio dalla barba bianca, Gengis, Arcangelo Pirovano che scopro essere il presidente della federazione.
Un uomo con una grande energia pronto a parlarmi del mondo della canoa e della sua associazione che oggi comprende millesettecento iscritti da tutta Italia. Gengis mi introduce la filosofia della Federazione con queste parole: - Sport per tutti, per dare il meglio di se stessi ma non anche per selezionare pochi, relegando i più al ruolo di spettatori. Turismo culturale e problematica ambientale, un uso del tempo libero che non predilige l’evasione ma la qualità della vita -.
Gengis mi racconta che l’associazione insieme all’Associazione Sportiva Culturale Dilettantistica 4P Kanu Group organizza diversi raduni e discese di gruppo in tutta Italia e non solo, come ad esempio il raduno che si tiene tutti gli anni nelle prime due settimane di agosto da ormai 30 anni lungo il bacino dell Durance nella zona di Eygliers.
Mentre i primi associati e nuovi amici riprendono la corrente verso valle, Pylade uno dei fondatori della 4P mi spiega che esiste anche una struttura, qui lungo La Durance, gestita dall 1982, gentilmente concessa dal comune di Eygliers, dove si organizzano incontri e cene serali. Per migliorare la recettività visto il continuo aumento dei partecipanti al raduno si stà finalmente concretizzando un sogno portato avanti da anni da Gengis, di realizzare una nuova struttura dotata di nuovi confort e di una sala da pranzo e riunioni più grande e più agevole. Struttura che sarà a disposizione dei diversi canoa club iscritti alla federazione a partire dalla tarda primavera fino all’autunno. In periodi di piena la struttura servirà di appoggio alle guide e aspiranti tali a mettere a punto le tecniche di sicurezza fondamentali per garantire le discese in sicurezza dei canoisti.
La mia passione per la canoa canadese (la classica utilizzata dai pelle rossa del nord), parlando con Pylade mi porta a scoprire due veterani della canoa canadese, Lilli Di Francesco e Angelo Vergani anche loro qui, presenti lungo La Durance. Da poco hanno concluso una affascinante avventura lungo i fiumi della Mongolia, per 630 Km attraverso Eg Gol, Ur Gool e Selenge, definiti dagli avventurosi canoisti “Il regno dell’armonia e del Silenzio”.
Così mi spiegano in breve la loro avventura asiatica: - L’isolamente in Mongolia è davvero totale, se ti succede qualche cosa nessun soccorso può intervenire, nessun ospedale, devi contare solo sulle tue capacità. L’0rganizzazione per la spedizione in Mongolia è durata alcuni mesi, poiché non ci sono grandi informazioni sui fiumi mongoli, ne guide, ne resoconti di altri canoisti e avventurieri. La canoa e il rafting sono discipline recenti in questi territori e le atrezzature non sono di ultima generaziuone. L’0biettivo della spedizione era quello di discendere l’Eg Gol che poi si unisce all’Ur Gol che poi entra nel Selenge river, il fiume più lungo della Mongolia. Il programma era di partire dal lago Khovsgol Nuur ed arrivare al confine con la Siberia a Sukhbaatar, percorrendo 800 Km in 12 giorni, ma putroppo abbiamo preso un giorno e mezzo nel trasferimento che è avvenuto con un camioncino 4 per 4 e altri giorni a visitare i dintorni, così da 12 i giorni di pagaiata sono diventati 8 pagaiando 9 ore al giorno percorrendo in totale 630 Km. La velocità dell’acqua e la portata erano decisamente inferiori rispetto allo Yukon river (fiume che nasce in Canada per poi attraversare l’intera Alaska fino allo stretto di Bering per un totale di circa 3.500 Km già percorso in passato dai miei nuovi amici). Avanzavamo a circa 6/7 Km orari -.
Affascinante il racconto di questi due avventurieri che con le loro storie mi riportano al ricordo delle mie avventure in canoa tribale attraverso le Back Waters in India e su una vecchia canadese attraverso i fiordi e le coste dell’Oceano Atlantico in Svezia. Pensando alle loro avventure e alle miei, chiedo a loro se pensano che basti la preparazione tecnica e fisica o se servono altri elementi a far si che un viaggio del genere possa concludersi in successo: - “La fortuna arride agli audaci”, e noi siamo stati fortunati, avevamo monitorato le previsioni del tempo per un mese prima della partenza, mai sole, sempre pioggia. Temperature comprese tra i 5 e i n15 gradi, eravamo pronti ad affrontare un viaggio difficile, avevamo con noi vestiario pesante, di tutto e di più, e invece la fortuna è stata dalla nostra parte abbiuamo trovato sole, tanto sole con una temperatura comnpresa tra gli 8 e 25 gradi. Alla mattina si remava benissimo fino a mezzogiorno poi un sole insopportabile che ci ha ustionato il naso, le mani e le braccia. La sera invece venivamo assaliti da fortissimi temporali con forti venti e lampi, abbiamo rischiato più volte che volassero via tenda e canoa, che ancoravamo abitualmente alle pinte. Sicuramente l’esperienza sullo Yukon ci è stata di grande esperienza-.
Da questo raccontare viene semplice dedurre che uno dei fattori per terminare con successo una avventura del genere è sicuramente la fortuna o meglio come personalmente amo chiamare il buon karma.
Il cielo azzurro sopra la Durance si stà oscurando coprendosi di grosse nubi, mi affretto a recuperare l’atrezzatura da Kayak, pagaia in mano saluto questi nuovi amici, in modo da riprendere la discesa verso valle insieme ad Alessandro e Manuele e così in un batter d’occhio essere nuovamente a combattere con la corrente fino a raggiungere in un paio d’oree St. Clémant dove si trova il campo slalom.
A St. Clémant scopro una interessante manifestazione, una sorta di rievocazione del passato che si tiene a Maggio lungo questo fantastico fiume, dove gruppi di professionisti del rafting, in abiti tradizionali del ‘800, discendono su grosse zattere, costruite con tronchi legati insieme da grosse corde di canapa, le rapide di questo incredibile fiume, come facevano i pionieri di un tempo…questa è un’altra storia.
Vivere la natura, che sia lascirsi trasportare dalle correnti dei fiumi, scalare alte pareti e vette nelle zone più remote del nostro fantastico Pianeta, o passo dopo passo, a piedi o in bicicletta attravresare altipiani, deserti, foreste è una cosa unica che riempie di forti energie, emozioni pronte ad essere nuovamente espresse nel lasciarsi coinvolgere in nuovi viaggio o meglio…viaggio nel viaggio…
Sebastiano Ramello

ellocolive@yahoo.it
Federazione Italiana Canoa Turistica www.canoa.org

sabato 31 luglio 2010

UN VIAGGIO DIETRO CASA, DALLE LANGHE ALLE ALPI

Tratto dall'articolo scritto per Spirito Libero Luglio 2010

Dopo tanti viaggi che in questo ultimo anno mi hanno visto più volte attraversare l’intero Pianeta per motivi vari, dal piacere della scoperta e dell’avventura al mio lavoro di Wine Broker e promotore del territorio italiano, in questo numero di Spirito Libero, “Viaggio nel Viaggio”, voglio raccontarvi di uno dei posti assolutamente più belli al mondo, che mi hanno visto crescere, le “Langhe” un fantastico territorio fatto di alte e allungate colline che si perdono all’orizzonte a pochi chilometri da casa mia nella regione italiana del Piemonte in provincia di Cuneo. Quante volte sulle cime di queste alture circondate dai più prestigiosi vigneti del mondo come il Nebbiolo, Dolcetto, Barbera sono stato a sognare, guardando l’orizzonte, verso gli alti picchi delle Alpi, che circondano la pianura ai suoi piedi, viaggi e avventure in paesi lontani, per poi ritrovarmi a passeggiare tra i paesini come Barolo, Monforte, Diano D’Alba, Dogliani, Barbaresco, La Morra, Neive e tanti altri, che con la loro storia ricoprono di culture centenarie questi luoghi.
Le “Langhe” si dividono in Bassa Langa e Alta Langa, la Bassa Langa zona rinchiusa fra il fiume Tanaro a nord e il fiume Belbo a sud, con quote inferiori ai 600m e cittadina principale, Alba, che si trova esattamente nel suo cuore, famosa non solo per la sua stupenda architettura storica e per i tanti moderni e tradizionali wine bar che servono tra i migliori vini di queste colline ma anche per una altra sua unicità ormai famosa in tutto il mondo, il Tartufo bianco d’Alba, detto scientificamente Tuber Magnatum Pico è un prodotto agroalimentare tradizionale (PAT) semplicemente chiamato fungho sotterraneo, non coltivabili, che vivono in simbiosi con alcune piante arboree quali: il Cerro, la Farnia, il Rovere, la Roverella, il Pioppo Nero, il Pioppo Bianco, il Carolina, il Tremolo, il Salicone, il Vimine, il Salice Bianco, il Tiglio, il Carpino Nero e il Nocciolo. Possono essere di svariate forme e presentano una parete esterna dal colore bianco latte al giallo ocra con una polpa interna chiara solcata da venature scure, il suo profumo intenso lo rende l’oggetto dei desideri di tutti i buon gustai. Veniva servito fin dai tempi dei faraoni egizi che lo assaporavano durante i loro banchetti, ed era già conosciuto sia dai sumeri, nell’antica Arabia, nell’impero babilonese e nella Persia di Alessandro Magno, ma venne riconosciuto come fungo solamente nel sedicesimo secolo e nel 1929 per valorizzarlo nasce quella che è la più importante fiera di questo prodotto la “Fiera Nazionale D’Alba”, mentre nel 1996 nasce il centro Nazionale Studi Tartufo un Istituto unico al nel suo genere specializzato nella ricerca e nella divulgazione della cultura tartuficola. Questi territori che delimitano la Bassa Langa ancor prima di essere zone di Tartufo sono zone del buon vino e una delle aree con maggior denominazione DOCG in Italia. Passeggiando a piedi o in bicicletta si possono incontrare migliaia di piccoli e medi produttori di vini prestigiosi di alta qualità come il Barolo che fa un pò da re dei vini Italiani, prodotto dalla lavorazione delle uve da Nebbiolo con un invecchiamento in grosse botti di legno per 2 anni e 6 mesi in bottiglia; il Barbera nelle sue diverse specie che vanno dal Barbera D’Alba al Piemonte Barbera per poi diventare nell’astigiano nella zona collinare del Monferrato Barbera D’Asti da alcuni anni diventato DOCG e Barbera Monferrato leggermente più frizzante; il Dolcetto altro vino autoctono come il già discusso Barbera, che si può degustare dalla zona di Dogliani dove qui una variante ha preso il nome di vino Dogliani diventando un DOCG da pochi anni. Per mio gusto il Dolcetto di Dogliani ne diventa l’eccellenza nella collina di San Luigi dove piccole realtà come la cantina “La Bruna” e “Ribote” hanno collaborato a portare la sua altissima qualità in giro per il mondo. Altri eccellenti vini sono il bianco Favorita, un altro DOC del cuneese dal colore paglierino con un odore delicato e un sapore secco dal retrogusto amarognolo, perfetto con antipasti ed eccellente con fritto di pesce e crostacei; il bianco Arneis che dal 2006 è diventato DOCG, si produce nella zona del Roero altra zona collinare che confina con le Langhe ma con una morfologia di colline più giovani caratterizzata da terreni soffici e permeabili e gli strati sabbiosi sono inframmezzati da sottili strati di marne. Anche questo è un vino autoctono, vinificato da uve Arneis in purezza con una gradazione minima complessiva di 11 gradi, per apprendere totalmente i suoi aromi e sapori bisogna fermarsi nella cantina Ghiomo dove Giuseppino da sua consuetudine con amore contadina illustrerà tutte le sue caratteristiche. Tornando ai famosi rossi, sempre passeggiando lungo i sentieri di queste colline verso il territorio di Diano D’Alba altra famosa zona di produzione del Dolcetto, si possono incontrare aziende vinicole come quella di Veglio Osvaldo dove si possono sorseggiare degustando formaggi locali vini come il Nebbiolo, il Dolcetto di Diano e bland di fantasia che hanno raggiunto una altissima qualità grazie ai loro winemaker. Spostandoci invece verso i confini con il Monferrato sempre nel territorio ci si imbatte nel bellissimo villagio di Barbaresco accovacciato ma non assopito, su una bellissima collina diventata famosa al mondo grazie alle sue uve da Nebbiolo che dopo una lavorazione e un invecchiamento di 2 anni in botte e 6 mesi in bottiglia diventa il ricercato vino Barbaresco DOCG fatto conoscere al mondo dall’ormai sempre più famosissima cantina Gaia; e per rimanere nel tema del Nebbiolo spostandoci nuovamente nelle colline e terre del Roero troviamo uno dei fratelli del Barolo e Barbaresco, il vino rosso Roero un altro DOCG di queste antiche terre anche lui prodotto dall’amore del mondo contadino e lasciato riposare per 2 anni in grosse botti di legno per poi finire ad aspettare ancora 6 mesi in bottiglia prima di andare a finire sulle tavole delle case di tutto il mondo. il Roero si differenzia dal Nebbiolo d'Alba per una certa sua caratteristica morbidezza, mentre la struttura e i profumi sono talvolta simili.
Ma del Roero conquista immediatamente la gradevole freschezza, percettibile nel profumo come al palato, dove l'aggiunta (dal 2 al 5%) di uve Arneis la fa intendere giovanilmente pronto al consumo e più facile da capire. Uno dei posti più interessanti dove poter degustare questo vino è sicuramente la cantina Moretti e Massucco. Altro vino importante di questi territori anche se la sua produzione consistente viene dall’astigiano e il Moscato D’Asti DOCG e Moscato, invidiatoci da tutto il mondo, leggermente frizzante, dolce con una gradazione che non supera il 6%, servito fresco come aperitivo estivo o abbinato a formaggi e dolci, amato nel mondo dalle donne proprio per la sua facilità nel bere e per la sua delicatezza e dolcezza, perfetto da sorseggiare tra le colline della tenuta Carlin De Paolo due giovani fratelli che hanno voluto ribattezzare i loro vini unendo il nome del nonno a quello del bis nonno. Oltre questi famosi vini le colline delle Langhe e il territorio del cuneese posseggono molte altre realtà di vini autoctoni per lo più rari.
Mentre la Bassa Langa racchiude la maggior parte dei vigneti di questi territori, l’Alta Langa al confine con la Liguria con quote massime intorno ai 750 metri ma con un unico picco di 896 metri nel comune di Monmarcaro e zona di boschi e coltivazione della nocciola e si trova ancora anche se sempre più raramente il Pino Silvestre. Tra queste terre si parla un dialetto della lingua piemontese molto particolare, ricco di influssi liguri e di arcaismi, il langarolo. Attualmente è stata avanzata la proposta di candidatura al fine di includere il territorio delle Langhe insieme a quello di Monferrato e Roero nella lista del Patrimonio Mondiale dell'umanità dell'UNESCO.
Modo interessante per scoprire il cuneese è la bicicletta e per i più pigri la motocicletta può essere una bella alternativa. Bellissime gite, già per professionisti della mountain bike, è partire da uno dei tanti villaggi della Langa per poi ridiscendere attraverso i filari, le viti e i boschi e così raggiungere la pianura sottostante e da qui attraverso campi di girasole e mais arrivare a una delle tante valli che portano verso le vette delle Alpi, come la Valle Stura lungo l’omonimo fiume, ideale tutto l’anno per discese in rafting e kayak; la Valle Gesso una delle valli più belle per l’arrampicata sportiva come nella zona di Andonno dove diversi anni fa da Severino Scassa è stato aperta la prima via di nono grado o le altissime pareti classiche e non del Corno Stella situate nella parte più estrema della valle; la Valle Varaita dove i 3841 metri del Monte Viso ne fanno il suo simbolo; la Valle Grana dove nei suo alpeggi nasce e si produce il formaggio Castelmagno antico di 1000 anni e oggi abbinato ai gnocchi di patata fatti in casa nelle migliori trattorie; la Valle Maira una delle più belle valli da percorrere in bicicletta dove dalla sua porta nella cittadina di Dronero si può raggiungere in circa 60 km di pedalata attraverso fantastiche falesie e immense vette il comune di Acceglio da dove lungo uno sterrato, curva dopo curva si arriva ai piedi a quello che è il simbolo ormai indiscusso e identificativo di tutta la valle il gruppo Rocca Provenzale e Castello, in frazione Chiappera, le loro pareti di quarzite offrono delle entusiasmanti vie di arrampicata, spalleggiate dall'impressionante salto d'acqua delle Cascate di Stroppia, alimentate dalle nevi dell'Alto Vallonasso e attive nel periodo tardo primaverile. Qui ci troviamo a due passi dalle vicine valli francesi dell'Ubaye e Ubayette. Le frazioni Chiappera, Saretto e Chialvetta situate nella Valle Maira e i loro relativi valloni sono gli ideali punti di partenza per gite escursionistiche di grande fascino, come i circuiti Dino Icardi, Roberto Cavallero e il giro dello Chambeyron in più tappe presso bivacchi di alta quota danno la possibilità di conoscere ed attraversare ambienti incontaminati, dove si possono incontrare laghi alpini di un colore blu e verde intenso, come il Visaisa, l'Apzoi, il Barenghi. In inverno questa zona ospita la pista di fondo che, collegata con il comune di Prazzo, offre quasi 50 km di piste ed anelli di varia difficoltà che attraversano boschi e antiche borgate, fiancheggiando laghi e torrenti per terminare al di sotto delle Cascate di Stroppia.
Per chi dopo una passeggiata tra le Langhe o una pedalata tra le Alpi volesse un momento cittadino può visitare la bella Cuneo capoluogo di provincia delimitata dai fiumi Stura da un lato e dall’altro il fiume Gesso, che con i suoi portici che partono da corso Nizza fino ad attraversare piazza Galimberti e poi la parte antica della città, via Roma, ne fanno una delle città italiane con più portici e elegfanti negozzi. Per chi volesse ammirare la città da una prospettiva perfetta può farlo da piazza Galimberti con lo sguardo verso corso Nizza dove al fondo dei portici e all’orizzonte della cittadina si innalzano le maestose Alpi, altra zona di eccellente prospettiva e dall’altra parte di quello che viene chiamato dai locali ponte nuovo, un lungo e alto ponte che attraversa il fiume Stura, dove guardando verso la cittadina si può ammirare alle sue spalle la bella montagna Bisalta con i suoi oltre 2000 metri, simbolo di Cuneo. Oppure per un buon aperitivo ci si può dirigere verso Racconigi dove si può visitare il mastodontico castello dei Savoia, ex residenza estiva del re e della sua corte.
Inoltre la provincia granda durante l’anno regala moltissime sgre e feste, come la sagra del porro di Cervere nel periodo di novembre, iniziata molti anni fa da un gruppo di amici e ora diventata una festa conosciuta nel mondo dove per 10 giorni migliai di persone si radunano sotto grossi tendoni ad assaporare fantastici piatti di tutti i generi cucinati esclusivamente con questa fantastica pianta il porro. Interessante la fiera del bue grasso di Carrù che risale al 15 Dicembre del 1910 o la fiera della castagna Marrone di Cuneo che si terrà dal 14 al 17 ottobre e che per quattro interi giorni riempierà di sapori, profumi e colori il centro storico del capoluogo con centinaia di espositori provenienti da ogni parte del Piemonte, ma non solo.
Sono tante altre le bellezze di questi luoghi teatro dei miei primi viaggi e avventure e non che alimentatori dei miei sogni che mi hanno portato ad attraversare alcune delle strade più remote del nostro Pianeta per poi comunque riportarmi sempre tra i colori e sapori della mia infanzia e delle miei radici che mi riconducono a questa fantastica terra.

lunedì 21 giugno 2010

CANADA- Ontario

TRATTO DAL MIUO ULTIMO ARTICOLO SULLA RIVISTA SPIRITO LIBERO:

CANADA ONTARIO
Un nuovo stile per viaggiare “CouchSurfing”

Sul’ultimo numero di Spirito Libero “Viaggio nel Viaggio” vi ho raccontato di un mio viaggio in camper, iniziando raccontandovi che sono tanti i metodi con cui si può soddisfare la voglia del viaggio è dell’avventura. In questa uscita vi parlerò di un metodo tutto nuovo che ho scoperto solo da un anno, e che mi ha già permesso di conoscere nuove molte interessanti persone in giro per il nostro fantastico Pianeta, che mi hanno dato la possibilità di continuare questo mio continuo movimento tra un paese l’altro. In questo metodo chiamato “CouchSurfing” in questo ultimo mese ho attraversato le bellissime strade di Chicago, avendo la fortuna di partecipare come spettatore al fantastico “Chicago Blues Festival” che si tiene a Giugno, e poi dirigermi per la mia prima volta in Canada nello stato dell’Ontario e cosi’ approdare a Toronto bellissima moderna città in mezzo al verde dei suoi tanti parchi, si dice che sia la città più verde del pianeta.
Prima di iniziare a descrivervi il mio viaggio e questi bellissimi luoghi, vi introduco cosa significa viaggiare utilizzando CouchSurfing. Prima di tutto è una comunità di oltre un milione di persone in tutto il mondo, iscritte tramite un sito web: www.couchfurfing.com dove ogni uno mette giù un proprio profilo e dichiara di poter ospitare nella propria casa sul proprio “couch” (letteralmente divano) un altro CouchFurfer che stà viaggiando nel territorio dell’ospitante. Un metodo nuovo per viaggiare a basso costo, e soprattutto un metodo eccezionale per conoscere moltissime persone interessanti.
Lasciata Chigaco dove sono stato ospite di un gruppo di ragazze CouchSurfer nel quartiere Portoricano, nei giorni appena prima la mia partecipazione come promoter del territorio italiano e dei suoi vini al International Wine Meeting di Chicago, eccomi arrivare a Toronto dove prima su un autobus cittadino, con partenza appena di fronte all’aereo porto e poi in metropolitana, ho raggiunto la zona di St Clair, dove attraversando la Yonge street, la più grande arteria stradale del mondo, che per oltre 1.896 Km unisce il Lago Ontario al lago Simcoe nello stato dell’Ontario in Canada, ho raggiunto le miei nuove ospiti due ragazze CouchFurfing che mi hanno fatto subito spazio nella loro bella casa e mi hanno messo a disposizione tutti i confort necessari. La cosa più divertente che unisce i CoucFurfer è la voglia di conoscere e di viaggiare, quindi l’amicizia diventa immediata. Insieme ai miei nuovi amici sono subito andato alla scoperta della città di Toronto percorrendo i circa 10 Km della Yonge street che uniscono St Clair alla Donw Town. Questa strada oltre essere la più lunga al mondo è anche una delle più animate, su entrambi i lati decine se non centinaia di negozi, bar e sui marciapiedi musicisti e artisti. Per quasi il suo intero percorso la Yonge street non ha nessuna deviazione è praticamente dritta, solo in un punto, all’incirca all’altezza di St Clair la strada ad un incrocio perde la sua linearità per deviare di un paio di metri, la storia narra che i costruttori erano partiti da due punti opposti e arrivati a questa punto di congiunzione non avendo fatto i giusti calcoli le strade non si incontravano per un paio di metri.
Toronto oltre essere la capitale dell’Ontario è il centro più popoloso del Canada con oltre quattro milioni di abitanti ed è anche il centro commerciale dello stato insieme a Montréal, che si trova nel nord est, nella zona dove si parla ancora la lingua francese. Toronto è anche la più multietnica città del mondo con il 36% degli abitanti di non origine europea, qui per le strade è facilissimo fare conoscenza con indiani, cinesi, africani ecc…Per farsi una idea della multi etnicità della città, pensate, il 911, centralino locale è preparato per rispondere a ogni chiamata in 150 lingue differenti. Una delle comunità più grandi è quella italiana con una presenza di circa 500.000 persone di origine italiane. Proprio agli italiani viene dedicato anche un quartiere Little Italy dove ogni anno a giugno si tiene una bellissima festa di 3 giorni che vede centinai di miliaia di partecipanti nella sua strada principale. La strada viene decorata con bancarelle che propongono varie cibarie, non solo italiane, musicisti, per lo più musica tradizionale italiana, fisarmonica e mandolino. Oltre Little Italy altro luogo di ritrovo della comunità italiana è il quartiere elegante di St Clair che dal 1988 viene anche nominata con il nome aggiuntivo di “Corso Italia”.
Toronto all’interno della sua area possiede 240 quartieri raggruppati in 6 sobborghi: Old Toronto, East York, Etobicoke, Scarborough, North York e York (dove si trova anche il quartiere di Weston). Quando i primi europei arrivarono nel territorio dove oggi si trova la città, la regione era già abitata da tribù di Huroni, che avevano a loro volta scacciato gli Irochesi che per secoli popolarono l'area prima del 1500. Il nome Toronto è probabilmente derivato dalla parola irochese tkaronto, che significa "luogo dove gli alberi stanno in acqua".Toronto fu per ben due volte, ma per brevi periodi, la capitale della Provincia del Canada, nel 1849-1852 a seguito di disordini a Montreal, e successivamente nel 1856-1858. Come lo fu per l'Alto Canada nel 1793, Toronto divenne la capitale della provincia dell'Ontario (dopo la sua creazione) nel 1867 ed è rimasta tale da allora.
Percorrendo l’intera Yonge street fino poco prima del lago Ontario si può giungere a una delle massime attrazioni turistiche del luogo, la Canadian National Tower o CN Tower che, coi suoi 553,3 m, è stata la torre più alta del mondo per ben 31 anni, fino al settembre 2007, quando è stata sorpassata dal grattacielo tuttora in costruzione Burj Dubai. La CN Tower fu costruita tra il 1973 ed il 1976 per ordine della più importante compagnia televisiva canadese, la CBC, che necessitava di una nuova torre per le trasmissioni. La compagnia trovò uno sponsor per la costruzione nella società statale che gestiva, e gestisce tuttora, la rete ferroviaria, cioè la CN che possedeva i terreni dove oggi sorge la torre; per questo motivo è nota al mondo con il nome di CN Tower. Ancora tuttoggi contina ad essere una torre di trasmissione radio televisiva, e inoltre nel suo disco piattaforma che si trova verso la punta estrema della torre è stato creato il più alto ristorante di lusso che ruota su se stesso, a un piano successivo a 342 metri si trova un pavimento trasparente, da brivido, su cui ci si può passeggiare e ammirare la sky line dall’alto. L’ultima piattaforma panoramica chiamata "Sky Pod" detiene il record di altezza a livello mondiale ed è posta a 447 m d'altezza che corrispondono a ben 147 piani.
Un’altra attrazione di Toronto e il suo modernissimo stadio chiamato “Sky Dome” per la sua copertura apribile e successivamente ribattezzato Rogers Centre in seguito all'acquisto dello stesso da parte della Rogers Communications, già proprietaria dei Blue Jays, la squadra di baseball della città. Questo stadio con tetto a cupola semovente è lo stadio apribile più grande del mondo, il peso del tetto raggiunge le 12.000 tonnellate. A Toronto hanno sede numerose squadre militanti nei maggiori campionati nordamericani. L'hockey su ghiaccio è sicuramente lo sport più seguito anche se quest’anno la vittoria dopo tanti anni è tornata a Chicago.
Ha Toronto ha anche sede la maggiore università canadese, chiamata l'Università di Toronto, oltre alla Ryerson University e alla York University, e numerose tra le maggiori industrie e attività economiche del Canada.
La vita notturna della città è molto animata, ovunque bar e pub dove si può sorseggiare una delle tantissime birre di produzione locale o un buon bicchiere di vino di importazione, ascoltando buona musica live. Divieto assoluto in tutto lo stato e bere alcolici al di fuori delle mura domestiche o dei luoghi attrezzati come bar, pub ecc…
Durante la mia permanenza in questa bellissima città Lyn, una delle ragazze CoucFurfing che mi ospitano mi ha accompagnato in visita al luogo più famoso e turistico del Canada, le famose immense cascate del Niagara, che distano all’incirca una ora e mezza di automobile da Toronto, lungo un territorio disseminato da aziende vinicole locali.
Le prime aziende vinicole commerciali dell’Ontario sono nate solamente all’inizio degli anni '80, giungendo in breve tempo a un livello di eccellenza riconosciuta in ambito internazionale. Oggi in Ontario, che ha la stessa latitudine della Borgogna francese, si contano 538 coltivatori, molti dei quali di origine italiana. Le 125 aziende vinicole attive sul territorio producono 56 milioni di litri, per un valore di vendite pari a 500 milioni di dollari canadesi. Le principali uve utilizzate sono: Chardonnay per i vini bianchi (3,8 milioni di litri) e il Cabernet Franc per i vini rossi (1,4 milioni di litri), cui si affianca il Vidal per la produzione di Ice Wine, oltre a tutte le varietà internazionali più diffuse, dal Pinot Nero al Riesling, dal Merlot allo Syrah.La fama dell'Ontario in campo enologico è legata ai Ice Wine, vini prodotti con uve che vengono lasciate congelare sulle piante, quindi pigiate quando gli acini sono ancora ghiacciati per estrarre solamente il succo, privo di acqua, dolce e concentrato; in realtà sono ben 15 le denominazioni d'origine, conosciute e apprezzate in tutto il mondo. I vini prodotti al 100% con uva locale sono identificati con la denominazione Vintners Quality Alliance (VQA) e rappresentano l'8% della produzione vinicola dell'Ontario, circa 10,8 milioni di litri che valgono 205,6 milioni di dollari canadesi. I vini non certificati in questo modo possono essere blend con vini provenienti dall'estero e sono etichettati come "Cellared in Canada", "Product of Canada" oppure "Vinted in Canada". Questi vini stanno avendo sempre più un grande mercato soprattutto in Asia, Cina. Ho avuto la fortuna nei miei giorni di permanenza a Toronto, visto che rappresento molte aziende vinicole italiane, di essere invitato a un wine tasting sui vini canadesi e posso dire che alcuni sono veramente interessanti soprattutto con formaggi.
Percorrendo queste strade tra i vigneti più famosi del Cnada si raggiunge l’immenso spettacolo delle famosissime Cascate del Niagara, situate a cavallo tra Canada e U.S.A. Queste cascate per la loro portata d’acqua sono tra le più famose del Pianeta, in realtà non sono cosi alte, solo 58 m di salto, ma lo scenario è la dimensione in ampiezza le fanno diventare uniche. Si parla di una portata d’acqua di 160.000 metri cubi al minuto che fanno diventare le Niagara Fall le più mastodontiche del Nord America e sicuramente le più conosciute al mondo. Si tratta di un complesso di tre cascate distinte anche se originate dal medesimo fiume, il Niagara. Iniziano dal versante canadese con le horseshoe falls (ferro di cavallo), dette talvolta anche canadian fall, separate dalle american falls, sul lato statunitense, dalla Goat Island (Isola delle Capre), e finiscono sempre nel suolo statunitense con le più piccole Bridal Veil Falls (cascate a velo nuziale).
Oltre essere famose per la loro bellezza sono famose anche per la produzione di energia elettrica. Gran parte della loro notorietà gli è stata data dal film “Niagara” girato nel 1953 dal regista Henry Hathaway e con Marilyn Monroe come protagonista. Molti degli edifici e luoghi che fecero da scenografia al film sono stati conservati così com'erano per l’attrazione turistica. Purtroppo la bellezza di questo stupendo dono della natura deve fare i conti con il turismo di massa e la cementificazione che ormai ha conquistato ogni angolo di quello che un tempo era un piccolo villaggio intorno a questo sito. Ovunque sorgono hotel internazionali a cinque stelle, torri fantascentifiche, ruote panoramiche, casinò e la strada centrale che sorge sulla collina adiacente si è trasformata in un grande luna park.
Comunque lo spettacolo delle acque del Niagara è sempre eccezionale e unico e nei migliori momenti di sole sul getto principale si può vedere perfettamente un bellissimo arcobaleno colorato che spunta tra la spuma del grande getto.
Le radici storiche delle cascate del Niagara risalgono nella glaciazione del Wisconsin terminata circa 10.000 anni fa. I Grandi Laghi dell'America del nord ed il fiume Niagara sono l'effetto dello scioglimento di questa enorme massa di ghiaccio. Dopo che il ghiaccio si fu sciolto, dal Lago Superiore si formò l'attuale fiume Niagara. Nel tempo il fiume si creò un nuovo passaggio per il Lago Erie ed il Lago Ontario. Durante questo stravolgimento geografico della zona vennero in superficie delle vecchie rocce marine molto più antiche rispetto alla recente glaciazione. Le tre maggiori tra queste formazioni sono visibili nell'alveo scavato dal fiume Niagara. Quando il fiume incontrò queste rocce più dure, la sua forza di erosione divenne più lenta. Dalla collina che porta alla cittadina di Niagara si possono notare le grosse rapide che si gettano in queste magnifiche cascate. Il livello superiore delle cascate è formato da rocce di stile dolomitico, molto dure e resistenti, mentre il livello inferiore delle cascate si trovava invece una roccia molto tenera e friabile che si erode molto più velocemente; questa differenza ha creato, nei millenni, l’imponente salto delle cascate. Le cascate originariamente erano situate nei pressi di Lewiston (New York) e Queenston (Ontario), ma l'erosione delle acque le ha fatte arretrare fino al sito attuale. Le cascate hanno un salto di circa 58 m, anche se quelle americane cadono su delle rocce situate ad appena 21 m dal bordo della cascata. Rocce che si sono formate a causa di una frana avvenuta nel 1954. La grande cascata canadese è larga 800 m mentre la cascata americana solo 323 m.
Interessante è che Il nome Niagara ha origine dal termine in lingua irochese, Onguiaahra, che significa acque tuonanti. Gli antichi abitanti della regione erano gli Ongiara, una tribù irochese chiamata Neutrale da un gruppo di coloni francesi che beneficiarono della loro mediazione per risolvere alcune dispute con altre tribù locali.
Dall’alto delle cascate si può notare in lontanaza il ponte dell'arcobaleno costrito nel 1941, da esso si ha una spettacolare visione delle cascate nella loro intera dimensione.
Si racconta inoltre che qualche anno fa un bambino, sbadatamente, sia scivolato nel grande salto della cascata principale con indosso solo dei pantaloncini e un salvagente a giubbetto e quanto sembra fu stato recuperato illeso, sicuramente non era ancoa giunto il suo momento…
Dopo un viaggio fino qui vale la pena prendere posto su uno dei tanti traghetti turistici che partono ogni momento per portare i curiosi armati di macchina fotografica fino a pochi metri dal getto. Solo da questa posizione si può capire la forza di queste acque e la loro maestosità.
Ora seduto in un caffè italiano lungo la Yonge street, battendo le ultime lettere sulla tastiera del mio PC e così concludendo questo altro mio articolo per Spirito Libero, mi preparo a una nuova avventura CouchFurfer, domani lascerò Toronto per ritornare in una delle miei città più amate New York City e cosi’ conoscere nuovi CouchSurfing e amici e intraprendere una nuova avventura all’insegna del buon vino Italiano.

20 Giugno 2010
Sebastiano Ramello

sabato 5 giugno 2010

MAROCCO IN CAMPER

Tratto dall'articolo scritto per SPIRITO LIBERO (Maggio 2010)

Sono tanti i metodi o meglio i mezzi che si possono utilizzare per compiere un viaggio. Uno dei mie più bei ricordi da viaggiatore, mi porta a quando al volante del mio vecchio fedele camper, un Ford del 1986 ho raggiunto Marzuga la zona sahariana del Marocco, con lo scopo di surfare con la mia tavola da snowbord le alte dune del deserto. Un viaggio iniziato lasciandomi alle spalle il mio piccolo villaggio nel cuneese, Centallo, per così oltrepassare la bellissima catena delle Alpi, la Francia, La Spagna e imbarcarmi su un traghetto che in trenta minuti mi ha scaricato sulla costa mediterranea di questo fantastico paese, situato nell’Africa settentrionale nella zona anche chiamata Maghereb . Circondato dal mare Mediterraneo nella parte settentrionale, dall'Oceano Atlantico in tutto il tratto ad ovest dello Stretto di Gibilterra, confinante via terra con l’Algeria e la Mauritania, il Marocco nel suo territorio possiede anche 4 zone spagnole nella parte affacciata sul Mediterraneo: Ceutta, Melilla, Penon De Velez De La Gomera, Penon De Alhucemas, oltre questi territori appartengono anche alla Spagna l’isola di Chafarinas sul Mediterraneo, a circa 45 Km a est di Melilla, l’isola Canarie al largo del lombo più a sud della costa atlantica. In fine l'isola disabitata di Perejal, poco più di uno scoglio situato presso lo stretto di Gibilterra, è tutt'ora disputato tra Marocco e Spagna. Il paese è governato da una Monarchia Costituzionale, la lingua ufficiale è l’arabo, anche se il 40% degli abitanti parla il berbero, introdotto di recente nelle scuole ma non riconosciuto come lingua ufficiale; il francese è una seconda lingua diffusa ed è molto usato nell'amministrazione, nell'educazione superiore e nei commerci, nel nord del paese viene anche parlato lo spagnolo.
Questo mio viaggio mi ha portato ad attraversare fantastici scenari, boschi di ulivi, strade sterrate, impervie montagne, come la zona del Rif che costeggia la parte mediterranea e la catena dell’Atlante che attraversa tutto il Paese da sud-ovest a nord-est con diverse vette che raggiungono i 4.000 m come la sua cima più alta il Monte Jbel TubKal con i suoi 4165 m, dove in un giorno di sole alternato da forti piogge e grandinate ho avuto il piacere di raggiungere attraverso un bellissimo traking che mi ha portato ad attraversare all’inizio della ascensione, campi coltivati, villaggi berberi di una ospitalità unica, e con la compagnia di un asinello, su per i suoi pendii fino a piantare la mia piccola tenda al campo base a 3500 m e l’indomani con il sorgere del sole arrampicarmi lungo una lunga pietraia che fino alla sua vetta e da li assaporare la bellezza dell’orizzonte marocchino per poi rientrare a valle e gustare un caldo te alla menta, così rimettermi al volante verso la bellissima città Quarzazate, situata alla porta del deserto del Sahara, nella valle del Dadès, nell’incrocio della valle del Draa. Nata negli anni ’20 per opera dei francesi, come centro militare e amministrativo, città famosa per i suoi studi cinematografici e per i tanti film girati nelle sue vicinanze, come La Mummia, Lowrence D’Arabia, Il Té Nel Deserto. Poco fuori Quarzazate, in direzione di Tinerhir, si trova la Casbah Taoirirt, abitata sino a poco dopo gli anni trenta, e oggi un interessante complesso turistico. Alle spalle del monumentale edificio si apre un piccolo villaggio tutt'ora abitato.
Da qui attraverso strade sterrate che attraversano un deserto piatto fatto di ciottoli e sabbia, a volte alternato da pezzi di strada asfaltata, ma per la maggior parte ricoperti di fine sabbia d’orata, sterzando ad ogni buca ho raggiunto Marzuga una bellissima cittadina situata in una oasi nel deserto della provincia di Er Rachidia, un tempo un punto di sosta lungo le piste che attraversavano queste zone isolate, e oggi il luogo di partenza e di arrivo dei turisti che visitano il deserto sabbioso chiamato Erg poiché a breve distanza si trovano le enormi dune alte fino a 250 m dell'erg Chebbi. La città più vicina è Erfoud, cittadina dove ancora si possono trovare tuareg di passaggio. Arrivando a Marzuga piano piano il desero piatto fatto di sassi e rocce lascia il posto a distese di sabbia e all’improvviso arrivando al villaggio di Erfoud come per incanto,davanti si innalzano montagne dorate che con i raggi del sole e il vento cambiano di tonalità di colore, queste sono le alte dune del deserto del Sahara. -Ricordo come al mio arrivo decine di ragazzini hanno cominciato a correre dietro al mio camper, qualcuno bussando alle portiere per così guadagnarsi un passaggio e altri appendendosi alla scala sul posteriore del mezzo. Trovata una gentile famiglia e dopo una rinfrescata con acqua tiepida già riciclata, comincio da subito a spargere la voce che sono interessato ad inoltrarmi nel deserto per surfare le alte dune di sabbia. Due giovani tuareg si fanno avanti con i loro striminziti dromedari offrendosi subito di accompagnarmi, alla ricerca della discesa ideale. Così a passo lento cullato dal dolce dondolio del dromedario, tavola in mano, duna dopo duna troviamo il luogo giusto dove accamparci. Una perfetta Conca tra alte dune, protetti dalle forti raffiche di vento. Al mattino ancor prima del sorgere del sole, preparo la mia attrezzatura e passo dopo passo, sprofondando nella sabbia fino alle caviglie, con fatica, risalgo la cresta dorata fino al suo punto più alto da dove mi soffermo ad ammirare e contemplare il fantastico spettacolo del sorgere del sole nel Sahara. Appena la grossa palla arancione si è trovata di fronte a me e i suoi raggi hanno cominciato ad bruciare la mia pelle, controllata la pendenza, con un spinta mi lascio scivolare sulla sabbia cosi che da poter galleggiare con la pancia dello snowbord e creare larghe curve fino a raggiungere il bivacco della notte precedente. Una emozione unica, un altro mio piccolo sogno esaudito in pochi minuti, surfare le dune del deserto del Sahara.
Soddisfatto di questa mia ultima piccola impresa, mi rimetto alla guida con un sorriso in più, puntando verso nord e le città imperiali, cosi raggiungo Marakesh situata al centro sud del paese, a soli 150 km dalla costa dell'oceano atlantico e dalla bella Esauira. Non lontana dalle montagne dell'Alto e del Medio Atlante, in linea d'aria non più di 50 km dalle sue vette. Si ritiene che Marrakech sia stata fondata all'inizio della dinastia almoravide, fra il 1062 ed il 1070, da un importante comandante militare, Yūsuf ibn Tāshfīn. Agli Almoravidi, seguì la dinastia almohade che arricchirono la città di opere importanti, facendo erigere la nuova Kasbah e l'imponente moschea detta Kutubiyya. La sua corte fu frequentata da poeti e filosofi fra i quali Ibn Rushd. Questi regni durarono all’incirca due secoli, poi la città subì saccheggi e invasioni fino al sedicesimo secolo quando passo alla dinastia dei Sa’didi i quali gli ridettero vita. A questo periodo seguì la dinastia alawita e la città venne nuovamente rasa al suolo ad eccezione delle tombe e così venne scelta come capitale Meknes. Da quel periodo ai giorni nostri non vi furono grossi avvenimenti nella storia della città e Marrakech rimase una città imperiale, importante come base meridionale per controllare le tribù berbere. Marrakech fù anche una importante città commerciale soprattutto tra le zone desertiche e il nord .Oggi conta circa 1.460.000 abitanti ed è senz'altro la città più nota del Marocco, solo seconda a Casablanca per le attività commerciali. Dalle elezioni del 12 giugno 2009 che hanno visto la vittoria di Fatima al-Mansouri sul sindaco uscente Omar al-Jazuli, Marrakech ha per la prima volta un sindaco donna, è la seconda città del Marocco dopo Essaouira a raggiungere questa meta.
Marrakech è formata dalla città vecchia, “la medina”, racchiusa da antiche mura, e ad ovest della moderna città nuova. La piazza principale della città è Djemaa el Fnaa che è anche la porta sulle viuzze della medina, addossate da centinaia di piccoli e medi negozietti che vendono di tutto, dal ferro battuto, scarpe, borse e i famosi puf di cuoio e pelle, lampade, spezie e profumi. La piazza di giorno è un andar e vieni di gente ma verso la sera si trasforma in una sorta di enorme ristorante a cielo aperto. Intorno alle 6 del pomeriggio dalle tante viuzze che la circondano si vedono arrivare uomini che trascinano dietro di loro carri che trasportano padellami, cibarie e cucine improvvisate. Ogni uno di loro si sistema in una zona fissa e prepara un piccolo vero e proprio ristorante ambulante fatto di tavoli sedie e cibi speziati. Appena le tante cucine a due ruote si mettono in moto, altre decine e centinaia di persone invadono la piazza, giocolieri, mangiafuoco, cartomanti e tanto ancora creando un luna Park improvvisato, animando la gioia dei turisti e dei passanti. La piazza a sud-ovest è dominata dalla moschea della Kutubiya che è sovrastata dal ben più appariscente omonimo minareto, alto settanta metri, è il minareto più antico delle tre torri almohadi che ci sono giunte, insieme alla Giralda di Siviglia e la torre Hassan a Rabat. Il suo nome deriva dalla parola "kutub" e sembra indicasse il fatto o che nei dintorni fossero presenti venditori di libri sacri o scrivani che prestavano servizio agli analfabeti.
L'architettura è tipica marocchina, del periodo almohade, con decorazioni di maiolica bianca, turchese e arabeschi scolpiti, differenti sui quattro lati.
Lasciare Marrakech e il suo fascino non è semplice ma il viaggio continua verso nord, la città di Fes o Fez come viene anche chiamata. Città sacra che si trova nel fondo di una fertile vallata. La zona vecchia della città, per i suoi edifici, i suoi mercati e le sue moschee, è uno dei centri più attraenti di tutto il mondo islamico. Come popolazione è la terza città del Marocco e la più antica città imperiale, questo dovuto anche all'importanza della sua antica università sulla cultura e sull'arte del Nordafrica musulmano. Fès è famosa per la sua "medina", Fās al-Bālī in cui si manifesta tutta la complessità di una città musulmana antica con le sue tortuose e strette strade, percorribili solo a piedi, in cui i trasporti avvengono con gli asini carichi fino all'inverosimile. Tra i vicoli a labirinto si aprono ogni tanto piccole piazze circondate da tanti negozietti. Tra i monumenti più noti la Medersa Bu ʿInayna, scuola coranica con alloggio per gli studenti, fronteggiata da un orologio ad acqua e da un arco che scavalca la strada. Altra madrasa è quella degli ʿAṭṭārīn profumieri. La città ha molte moschee, la più importante è la Moschea al-Qarawiyyīn, fondata nell'857 da Fāṭima, figlia di Muḥammad al-Fihrī, La Moschea è anche sede della più antica università islamica, con una biblioteca di antichi testi coranici ed è seconda per prestigio - insieme alla Zaytūna di Tunisi - solo ad al-Azhar del Cairo. Altro importante edifici è il palazzo reale che però è vietato ai visitatori.

Altra bellissima città sempre spostandosi verso nord è Meknes anche lei città imperiale, a circa 130 Km da Rabat e 60 da Fes, facilmente percorribile in camper in quanto unita da una ben fornita autostrada. Questa città con una popolazione di circa 600.000 abitanti prende il nome da una tribù berbera conosciuta come “Miknasa”. Oltrepassando questa ultima bellissima città imperiale le zone aride lasciano sempre più lo spazio al verde, a piccole colline, laghi, fino a raggiungere nuovamente il mare Mediterraneo e da li, ritrovarmi nuovamente al casello della dogana a compilare i documenti per il rientro in Europa e verso casa…casa dolce casa…sempre con quella dolce amarezza di una nuova avventura giunta alla fine.

Sebastiano Ramello

lunedì 26 aprile 2010

GORGE DU VERDON

Tratto dall'ultimo articolo scritto da Sebastiano per la rivista toscana "Spirito Libero" 26-04-2010.

Si avvicina l'estate e come ogni anno ormai da tempo mi preparo per un breve viaggio in uno di quei posti a me più cari, non lontani da casa, le Gorge Du Verdon, nella regione della Provenza in Francia, dove ho trascorso decine di avvenuture lungo il suo fiume, su e giu per le sue pareti mozzafiato e attraverso i sui eccezionali sentieri che costeggiano il fondo delle “gorge”.
Le gole del Verdon formano il più grande canyon d'Europa, e sul suo fondo dopo aver disceso pareti a strapiombo dai 300 ai 700 metri si trova il fiume Verdon con le sue acque verde smeraldo che danno il nome all'intera zona. Le sorgenti di questo incantevole fiume si trovano a 2500m e scorrono per 200 Km insiniandosi in gole profonde e passando 5 laghi artificiali: Castillon, Chaudanne, Sainte-Croix (il più conosciuto e grande 200 ettari), Quinson, e Esparron. Le gole di questo incredibile canyon si sono formate nel corso dei millenni, e per la sua immensità e altezza delle pareti hanno reso famosa questa zona tra i viaggiatori di tutto il mondo, sopratutto dagli amanti degli sport estremi, primo in assoluto “l'arrampicata sportiva”, il “base jamping” paracadutismo estremo che prevede il lancio in caduta libera da queste alte pareti mozzafiato, il “cayac” e la “mountain bikes”.
Tra i belvedere più panoramici sicuramente Le Pas de La Baou e il belvedere Trescaire.
Questi fantastici luoghi sono solamente stati esplorati in passato nel 1905, per sfruttare al meglio le riserve idriche fu affidata la ricerca a un noto speleologo del tempo, il Signor Martel, che esplorò il fondo del canyon. Da qui il nome di uno dei più famosi trekking (si può effettuare in circa 6 ore) delle gole, il “Sentier Martel”.
Il Verdon uno dei posti tappa fin dal 1970 dei più grandi e intrepidi “freeclimber” del mondo, sopratututto provenienti dalla California in USA e dalle bellissime pareti della Yosemite Valley. Luogo di soggiorno di questi avventurieri è sempre stato il piccolo villaggio provenzale della “Palud” situato in cima alle gole, in particolar modo il terreno, oggi diventato campeggio, di Jean-Paul, un simapatico anziano del posto che ancora parla la lingua “patuà”. Egli ama sempre raccontarmi come negli anni '70 decine di giovani dai capelli lunghi con tende e sacchi a pelo sgangherati prendevano dassalto fin dall'inizio della primavera il suo terreno come bivacco e campo base per le loro grandi scalate, da qui l'idea di trasformarlo in quello che è oggi un vero e proprio campeggio per amanti dello sport estremo. La creazione e tracciatura di vie di scalata classiche e estreme di queste pareti si devono a grandi scalatori come i fratelli Remy, Jaques Perrier, Jean Marc Troussier, Jean Baptiste Tribout, Patrick Edlinger e molti altri....
Le persone che di più mi hanno coinvolto in questo fantastico mondo della scalata in Verdon sono amici come Maldi (Paolo Dalmasso), Ernesto, Claud, Matteo che dell'arrampicata ne hanno fatto una vera ragione di vita e con la loro passione sono riusciti a trascinarmi lungo queste fantstiche pareti a strapiombo e far cosi entrare dentro di me quelle sensazioni di cui tanto mi hanno parlato.
Maldi descrive l'arrampicata come una sorta di filosofia, di meditazione, -“essere un tuttuno con la roccia”. E solo lassù o meglio laggiù visto che la scalata in Verdon si inizia quasi sempre dall'alto, calandosi con delle corde doppie per centinaia di metri, su spit (chiodi a pressione), sempre con il vuoto sotto i piedsi, si capisce cosa Maldi intende per meditazione. E si, una volta che il canyon ti ha inghiottito, che non c'è più via di uscita verso il basso, che non resta che risalire per centinaia di metri lungo queste parati di calcare grigio, il mondo diventa minuscolo, tutto si racchiude in quel mezzo metro quadrato che si ha davanti agli occhi, non esiste più profondita o altezza ma solo un incredibile vuoto interiore che piano piano si riempie di movimenti, roccia, magnesite...”il tutt'uno con la roccia”...Una sensazione incredibile in una natura selvaggia. Il vento che dal basso soffia verso l'alto, grossi rapaci che volano a pochi metri sotto, la corda che unisce te al compagno di risalita diventa una sorta di cordone ombelicale, trasformando il partner, per l'intera ascensione, in un fratello gemello. Mani che sudano, a ogni nuova presa vanno a cercare il saccehetto della magnesite (la polvere bianca che serve a fare aderenza sulla nuda roccia), gli avambracci che si gonfiano, le dita che sembrano staccarsi da un momento all'altro, waooo!!! passa dopo passo, presa dopo presa si raggiunge la fine di questa estenuante ma gloriosa risalita.

Ricordo con piacere una bellissima avvenutra portata a termine in queste gole lungo una via classica, di circa 200 metri, aperta dai fratelli Remi, dove insieme a Maldi, mio guru nell'arrampicata sportiva, e apri via, dopo essermi fatto convincere, siamo dapprima scesi in corda doppia appesi come salami con i piedi nel vuoto fino a raggiungere sotto di noi una piccola cengia a metà parete. Qui dopo aver ammirato il paesaggio mozzafiato, scattato un paio di fotografie, preparato il materiale di risalita, abbiamo attaccato la parete. Prima Maldi infilandosi in un camino strapiombo lungo circa due tiri di corda che portava a una sorta di tetto che formava una grotta, poi dietro io a passo lento cercando di fare presa e appoggio con i palmi delle mani e la schiena dentro a questa grossa fessura, scivolando verso l'alto, cercando di fare presa con tutto ciò che era possibile. Ricordo che in un momento di panico, non sapendo più cosa fare, oramai sentendomi scivolare all'ingiù, riusci a spostare la mia testa avvolta nel caschetto verso un buco nel camino, in modo da incastrarla, e cosi diventare una sorta di “Nats” (strumento per l'autoassicurazione formato da un dado d'acciaio collegato a un cavetto che viene incastrato nelle fessure) vivente, tutto il mio corpo era sorretto dalla mia testa incastrata nella roccia, ridicolo nel vedersi e ancor di più nel ricordarlo. Ricordo ancora le risa del mio compagno di cordata nell'osservarmi a circa 20 metri sopra di me. Passato questo primo faticoso tiro di corda, raggiunto il mio compagno, lui subito riprende la scalata fino ad entrare con l'intero corpo in questo tetto che si apriva come una grotta incastrata nella parete e cosi' lentamente con il fiato sospeso, spostarsi verso destra e raggiungere una presa chè l'ho portava fuori dalla difficoltà e cosi' verso quella che viene chiamata l'uscita della via.
Tante altre sono le avventure di scalate in questo fantastico parco dei divertimenti che è il Verdon che ricordo, momenti unici con persone uniche, dove si sono condivise forti emozioni, dai momenti di gloria personale, alle proprie paure. Mi viene in mente una bella scalata lungo una via di 100 metri insieme a Maldi e un amico toscano conosciuto sul posto, dove un giorno di sole, durante l'ascensione in parete, si è trasformato in temporale, pioggia e vento. Ricordo come tutti e tre legati allo stesso chiodo in silenzio e con umiltà, quasi per nasconderci dalla vista del temporale e dal “demone” che in quel momento ci stava attaccando con le folate di vento, appiccicati alla roccia avanzavamo con la speranza di non essere raggiunti dai fulmini che saettavano nel fondo della gola.

Questi luoghi oltre poterli ammirare direttamnte dalle pareti si possono anche ammirae lungo percorsi in automobile, sicuramente più semplici e alla portata di tutti. Uno dei percorsi più belli è quello della Cornice Sublim, che lungo la sua strada tortuosa porta fino a un ponte di 200 m famoso agli amanti del bungee jhumping (salto con la corda elastica), di nome Artuby. Altro percorso è quello che costeggia la riva destra sulla strada D 952 che porta a un circuito di oltre 20 Km chiamato “Rute de Cretes” che si trova lungo il tratto più impressionante del canyon e porta a moltissimi punti panoramici.
Altro modo fantastico per ammirare le Gole è dal basso, lungo il famoso Sentier Martel che costeggia lo splendido fiume, che si innoltra più volte all'interno di antiche grotte scavate dagli esploratori di un tempo, per poi risalire alcune cenge scavate nella roccia e scale di ferro che portano oltre medi precipizzi. Lungo questo percorso di circa 6 ore si può sostare lungo alcune pozze d'acqua create dallo scorrere del fiume e qui approffitarne per una bella nuotata. Per coloro che non arrampicano ma che hanno intenzione di ammirare questi “giovani uomini ragno” possono raggiungere il belvedere della “Carel” dove si trovano alcune vie di allenamento. Oltre che per l'arrampicata sportiva il Verdon è anche famoso per l'arrampicata artificiale, che prevede l'ascensione in libera di pareti totalmente non atrezzate, dove lo scalatore utilizza protezioni e materiale di vario genere quale: staffe, chiodi, per risalire volta in volta la parete e passare cosi i passaggi più impegnativi, questo tipo di scalata prevede a volte l'impiego di centinaia di chili di materiale, che vengono trascinati su per la parete e giorni e giorni di “lavoro” a volte portando gli scalatori a bivacchi improvvisati direttamente in parete.
Le Gorge du Verdon sono il luogo di un altro adrenalinico sport il “base jamping” paracadutismo estremo, dove più volte ho ammirato amici lanciarsi nel vuoto, a volte con coreografie di giravolte e capriole, per poi, dopo pochi secondi di caduta libera, aprire un piccolo paracadute appositamente creato per questa disciplina e cosi' raggiungere il fondo del canyon e il sentiero Martel.
Ricordo ancora le tante volte che ho accompagnato Alex un caro amico, poeta, arrampicatore e base-jamping, lungo i sentieri che fanno da cornice alle gole per poi vederlo allontanarsi, prepararsi, valutare i venti, ricontrollare tutta l'atrezzatura e poi come un angelo staccarsi dal suolo per sparire a una grande velocita giù lungo le pareti a poca distanza dalla roccia, una emozione unica anche solo nell'ammirare questo incredibile salto.
Indimenticabili sono anche i momenti di folklore che regala il piccolo villaggio della Palud, come la festa del 15 Agosto dove tutti insieme, turisti, scalatori, abitanti del luogo, ci si riunisce nella piazza centrale difronte alla bella chiesa di pietra ,a ballare tutta la notte al ritmo sonoro dell'orchestra del paese, il tutto innaffiato dal buon vino rosso e rosè della provenza, per poi il giorno dopo nuovamente perdersi per ritrovarsi appesi a una fune sulle immense pareti del Verdon.

sabato 20 marzo 2010

ATTRAVERSO I PIU' ANTICHI VULCANI DELL'INDONESIA:

Tratto dall'articolo di Marzo 2010 scritto per la rivista lunare "Spirito Libero":

Il Viaggio nel Viaggio continua, dopo una lunga camminata attraverso alte dune di sabbia nera, lungo la costa sud centrale di Java in Indonesia, ora mi trovo sulla bella terrazza della Guest House "Raharjo", situata sulla lunga spiaggia semi desertica di Parangtritis a circa 30 Km a sud di Yogyakarta, mentre guardo le alte onde del mare che si infrangono sulla spiaggia e penna in mano, con il sorriso compiaciuto, penso alla bella avventura trascorsa in questo ultimo mese di "viaggio nel viaggio", una avventura che mi ha portato dal Borneo alla bella isola indonesiana di Java, dove ho iniziato un lungo viaggio alla ricerca dei vulcani piu' antichi e attivi del paese.

-l'Indonesia si trova nella parte piu' estrema del Sud Est Asiatico ed e' il piu' grande stato arcipelago della Terra con oltre 13.677 isole di cui 3.000 abitate, il quarto piu' popolato con circa 250.000.000 di abitanti, ed e' il paese con piu' alta maggioranza Mussulmana anche se si trova un po' ovunque cultura e religione hinduista e cattolica, e la nazione al Mondo che possiede nel proprio territorio il maggior numero di vulcani attivi circa 100 con un totale di 500 vulcani. Inoltre 75.000 anni fa è stato sede della più grande eruzione di tutti i tempi finora scoperta, quella del lago Tobo nel nord dell'isola di Sumatra.
Le principali isole indonesiane sono: Sumatra, Java, Kalimantan (Borneo) Sulawesi, Maluku, Bali, Lombok, Isole Riau e Papua.

Con i ricordi arrivo alle forti emozioni che mi ha donato la scoperta del Gunnung Bromo (Gunnung in indonesiano significa vulcano) un fantastico vulcano attivo di 2.329 m, situato nella zona Est di Java. Qui in una notte di cielo stellato, verso le 3 del mattino, per ammirare la fantastica alba tra questi crateri, lungo quello che qui viene chiamato "mare di sabbia", mi sono arrampicato lungo uno stretto sentiero tra la folta vegetazione, che mi ha condotto fino alla cima del  Monte Penajakan (2.270m) dove da qui ho avuto la fortuna e il piacere di essere presente al fantastico spettacolo del sorgere del sole in questo luogo dalle sembianze giurassiche che mi ha regalato la natura. Da prima, tra una bassa foschia creata dalla forte umidita' si e' intravvista la cima del primo vulcano inattivo ,e da dietro una fumata continua che con i primi raggi del sole ha aperto lo sfondo sul bellissimo cratere attivo del Bromo, con alle sue spalle un altro grosso vulcano per il momento non attivo.Nel momento che la palla di fuoco del sole ha cominciato a tingere di rosso con riflessi azzurri, si e' potuto ammirare l'intero paesaggio con il suo altopiano di sabbia vulcanica nera.
Questo mio primo incontro con la potenza del fuoco, mi ha subito incoraggiato a continuare questa ricerca, cosi prima in autostop e poi con un vecchio autobus scassato ho raggiunto la cittadina di Banyuwangi sulla punta estrema sud di Java, dove da qui, con una lunga camminata tra piantagioni di caffe', e poi un passaggio sul cassone di un grosso camion adibito al trasporto dello zolfo, ho raggiunto Pos Paltudin, dove ho iniziato la lunga marcia lungo i pendi ricoperti dalla foresta equatoriale del vulcano Ijen, fino a raggiungere il suo enorme cratere al disopra di grossi nuvoloni grigi che piu' volte mi hanno ostacolato il cammino con grosse gettate d'acqua fresca. Dalla sua cima ho potuto da prima ammirare il fantastico cratere attivo con le sue fumate bianche e il bellissimo lago turechese che vi si trova nel bel mezzo, e cosi prendere la decisione di discendere la bocca fumante lungo un tortuoso e stretto sentiero scavato nella roccia, fino a raggiungere tra soffocanti vapori, una grossa cava di zolfo, dove decine di uomi con una muscolatura nervosa lavorano con gli occhi lacrimanti tra un colpo di tosse e l'altro a scavare con pezzi di ferro e zappe, strappando cosi' alla roccia grandi pezzi di zolfo, che vengono caricati all'intrerno di due cesti di vimini uniti da un bastone logoro da anni di fregamenti sulle loro spalle appuntite per poi essere trasportati, per un viaggio che viene compiuto due volte al giorno per un compenso inferiore ai 9 Dollari, lungo il ripido sentiero su per il cratere e poi giu' fino a valle a un ufficio dove il carico viene pesato e l'operaio pagato.
Questi coraggiosi uomini con infradito ai piedi e alcuni scalzi, sempre incredibilmente con il sorriso sulla bocca, riescono a trasportare sulle loro spalle fino a un carico di 80 Kg per volta. Per un breve tragitto mi sono offerto di provare a portare il loro cesto e vi assicuro che e' stata una fatica incredibile. Penso che sia uno dei lavori piu' duri e faticosi che abbia mai visto.
Alcuni operai sul sentiero mi offrono pezzi di zolfo e a gesti, con il poco inglese che conoscono mi spiegano che viene comprato dalle case farmaceutiche per fare alcuni medicinali e dalle aziende che producono creme per signore.
Vi assicuro che dopo questo incontro e dopo questa faticosa camminata all'interno di questo cratere, che mi ha ricordato l'inferno di Dante, il mio spirito e la mia idea verso il piacere della vita si e' rafforzato e mi ha fatto riflettere un'altra volta a quanto siamo fortunati.
Dopo aver salutato un po' a malincuore questi luoghi e questa fantastica gente, dopo una breve sosta a casa di uno agente di polizia che a tempo libero si diverte a fare spettacoli con King Cobra, Anaconda, Pitoni e Vipere di vario genere, mi sono diretto verso l'isola di Bali, non per le sue belle spiagge e il suo mare esotico, ma per i sui vulcani che emergono dalla foresta tropicale.
Il mio primo incontro e stato con il Gunnung Abang (2152m) per poi raggiungere in motocicletta le pendici del Gunnung Agung (3142 m) e qui aspettare la notte e cosi iniziare la lunga marcia che mi ha portato tra le nuvole fino a raggiungere la sommita' della sua vetta con i primi raggi del sole e sfortunatamente questa volta trovarmi tra una foschia che mi ha impedito di ammirare il suo cratere. Per raggiungere questo luogo, la partenza più semplice per l'ascensione e il tempio di Besakih e di Selat, risalendo lungo il versante sud per la via di Sebudi, da qui si puo' arrivare al punto piu' basso del cratere e se il cielo e' scoperto si puo' continuare verso il punto piu' alto. Un altro interessante vulcano di Bali e il Gunnung Catur (2096 m) da dove si puo' anche accedere a delle grotte che i giapponesi hanno utilizzato come nascondiglio durante la seconda guerra mondfdiale, che si trovano vicino al lago Bratan e da qui lungo un sentiero non difficile si puo' raggiungere la sommita' del Gunnung Catur.
Bali è per la maggior parte di religione hinduista, ma a differenza dell'India qui non esistono forti divisioni di casta e perciò non vi sono gli "intoccabili". In gran parte ormai raggiunta da anni dal turismo di massa, ma esistono ancora luoghi incontaminati tra le sue montagne e zone nuove che solo ora si stanno sviluppando a livello turistico, come Lovina sulla costa nord.
Dopo Bali la mio desiderio di scalata ai vulcani mi ha portato sull'isola di Lombok, dove tra un monsone e l'altro, in 2 giorni di camminata solitaria sono riuscito a raggiungere attraverso la folta foresta la bocca del cratere del Gunnung Ringiani, una enorme apertura ovale dove al suo interno si trova un lago turchese e un più piccolo cratere creatosi con l'eruzione del 1994, 1995, 1996, il Gunnung Baru tutt'oggi fumante e attivissimo, tanto che di notte si puo scorgere il rosso della lava che fuoriesce dalla sua cavità. La prima storica eruzione del Gunnung Ringiani risale al 1847 e la sua eruzione più recente risale al Maggio del 2009 dove ha creato una fumata di circa 8.000m. L'ascensione a questo vulcano non e' difficile ma molto faticosa, sopratutto nel periodo delle pioggie in quanto il sentiero puo' treasformarsi all'improvviso in un torrente e cascate, cosa che mi e' successa durante la mia ascensione. Anche la visibilita' puo' creare dei problemi, l'intero panorama puo' essere preso d'assalto in pochi secondi da grossi nuvoloni che impediscono improvvisamente la vista, limitandola a non piu di 5-8 metri, diventa cosi' molto facile perdersi. Dopo una notte passata all'umido dentro la mia piccola tenda circondato dal suono dei boati provenienti dalle profondità del cratere, alle 6 del mattino ho potuto ammirare il sorgere del sole tra la foschia di grossi nuvoloni che purtroppo mi hanno impedito di ritrarre con l'obbiettivo della mia reflex questo fantastico spettacolo, che mi ha comunque regalato il piacere di essere ancora una volta in un posto speciale tra la bellezza e la potenza della natura.
Alcuni abitanti del luogo, che ho incontrato durante l'inizio della salita, mi hanno raccontato che ancora oggi coesiste con la loro conversione al islamismo uan sorta di paganesimo, e che durante la luna piena, in particolar modo quella di Settembre, lo sciamano (capo religioso) del luogo accetta offerte di animali vivi dai devoti per poi sacrificarli al cratere colante di lava del vulcano.
Questo viaggio nel viaggio alla scoperta dei vulcani di Java si e' concluso lungo le pendici del Gunnung Merapi (2911 m) chiamata anche la montagna di fuoco, in quanto e' il piu' pericoloso vulcano di Java e uno dei più attivi del Pianeta e si trova a nord di Yogyakarta nella parte centrale dell'isola. Yogyakarta è una città di 3 milioni di abitanti e si trova solo a 25 Km a sud del vulcano Merapi, e in caso di una nuova forte eruzione possono considerarsi a rischio oltre un milione dei suoi abitanti e almeno altre settantamila persone che vivono lungo i suoi piedi possono considerarsi a massimo rischio. Questo vulcano è caratterizzato da eruzioni violente e continue, e cosi per il suo alto livello di pericolosità è considerato un "Decade Vulcano" uno dei 16 meno raccomandabili vulcani al mondo. Le sue eruzioni creano flussi di lava che possono discendere le sue pendici per oltre 15 Km e raggiungere velocità di oltre 100 Km orari, creando con i suoi depositi dei "lahars" possibili valanghe di fango. Il Merapi è anche il vulcano al mondo che ha creato più nubi ardenti, e le sue eruzioni durano da uno ai cinque anni, iniziando normalmente con flussi piroclastici lanciando in aria piroclasti che ricadono a pioggia, continuando con l'emissione di gas a bassa pressione e esplosioni. Nella sua storia il Merapi ha creato decine di vittime, e dal 1548 sono state registrate 68 eruzioni di rilievo, delle quali 32 accompagnati da nubi ardenti, 12 delle quali hanno portato morte e distruzione tra la gli abitanti di questo luogo. Nel 1672 una eruzione causò oltre 3.000 morti, ancora un flusso piroclastico nel 1930 causò la distruzione di 42 villaggi e la morte di 1369 persone. L'ultima eruzione che ha creato vittime è avvenuta nel 1994 con 60 decessi, e nel febbraio del 2001 c'è stata l'ultima grande colata di lava. Il vulcano viene monitorato da diverse telecamere 24 ore su 24 in modo da poter avvertire la popolazione che vive ai sui piedi in caso di una evacuazione.
Qui ho terminato la mia avventura tra la potenza del fuoco e della terra, con una risalita notturna lungo uno stretto sentiero da prima attraverso la vegetazione e poi una zona di residui lavici, fino a raggiungere un promontorio da dove cosi' ho potuto ammirare con la prima luce del sole, prima che l'intera sommità venisse avvolta tra le nuvole monsoniche, la sua vetta e il suo grosso cratere fumante, da dove su un lato, lungo la cresta, si intravvede appena, una lunga striscia ardente di lava rossa.

Le fotografie e il racconto di viaggio verranno presentati in primavera nel cuneese.

Sebastiano Ramello