EL LOCO NEL MONDO

EL LOCO NEL MONDO
Uno stile di vita

martedì 9 giugno 2009

2002 CAMBOGIA VERSO LOSPEDALE DI EMERGENCY....

TRATTO DAL DIARIO DI VIAGGIO "GIRO IN GIRO" 2002...Un viaggio attraverso Tailandia, Malesia, Sumatra e Cambogia.....

CAMBOGIA 08-04-2002 - E' l'alba sono con la mia compagna di viaggio Julie una giovane ragazza scozzese che da anni vive e insegna inglese in Giappone e che da un paio di settimane viaggia con me. Ci prepariamo ci aspetterà un lungo viaggio verso Battambang alla ricerca dell'ospedale di Gino Strada "Emergency".
Si parte, come d'accordo il pik-up passa a prenderci alle sei in punto. Leghiamo i nostri zaini su un mucchio di sacchi di riso e saliamo dietro al cassone insieme ad altre dodici persone tra donne e uomini, tutti contadini con le loro ceste ripiene di verdure e frutta pronte per essere vendute a qualche mercato chissà dove. Julie riesce a stringersi e prendere posto accucciata su un grosso sacco di iuta, io trovo posto seduto accanto a due uomini, in equilibrio sulla sponda del mezzo. Il pik-up si mette in moto, la marmitta, o meglio ciò che ne rimane fà un gran fracasso, ci incanaliamo lungo la strada principale e dopo alcuni chilometri, ancor prima di uscire dal paese la camionetta si ferma in una piccola piazza sterrata per fare salire a bordo altre tre persone, che a spintoni riescono a trovare posto sul cassone. Appena lasciata Siem Reap la strada si fa sempre più tortuosa e a ogni sorpasso di camion o pik-ip, si innalza una grande nuvola di polvere che copre del tutto la visuale, andando a infilarsi nei nostri occhi, in bocca impastandola insieme alla poca saliva e ovunque ci sia uno spazio per penetrare. Cosi', con astuzia e un po' d'esperienza decidiamo immediatamente di avvolgerci una maglitta intorno alla testa e il viso lasciando il posto solamente ad un paio d'occhiali da sole che ci ripare gli occhi. Ogni tanto il pik-up inchioda e sterza di colpo evitando improvvise buche lasciate dallo scoppio di vecchie mine, facendo si che l'intero carico di persone sbatta l'una contro l'altra. E' un viaggio veramente duro, ma pieno d'avventura. Julie ogni tanto viene calpestata involontariamente dai grossi piedi callosi dei contadini, io a ogni piccolo salto rischio di trovarmi steso lungo la strada. A ogni villaggio che si incrocia alcune persone scendono, ma subito altre prendono il loro posto e decine di donne e ragazzini si gettano contro al cassone con in testa ceste di vimini ripiene di ogni sorta di cibarie, cercando di vendere i loro prodotti ai passeggeri. Dopo circa tre ore di sballottamento il pik-up si ferma nella piazza di un paesino non molto lontano dal confine con la Tailandia, l'autista ci fa scendere e ci indica un altro pik-up da prendere per raggiungere Battambang, anche questo pieno di sacchi. Io dopo aver risistemato gli zaini e Julie in un comodo angolo del cassone arrugginito, ne approfitto per fare rifornimento d'acqua e sigarette, compro anche alcuni biscotti di farina di riso, giusto per buttar giù qualche cosa nello stomaco. Risalgo sul cassone, mi allungo disteso su due sacchi tra alcuni contadini e mi accendo una sigaretta approffittando del passo lento dell'automezzo, che dopo solo alcune centinaia di metri, dopo aver tirato un forte botto dal tubo di scapamento ed essere fuoriuscita una grossa nube nera è di nuovo fermo. Tutti saltano giù dal cassone, l'autista si corica sotto l'automezzo e dopo aver tirato due colpi con una grossa pitra sull'attacco della marmitta, ci fa segno di risalire e cosi' si riparte. Sulla strada c'è un gran via vai di mezzi, motorini che trainano carretti stra colmi di persone, biciclette con uomini che si avviano al lavoro nei campi, vecchi e arriugginiti camion senza porte con il loro carico in bilico sui cassoni, anziani che trainano a fatica carretti con il loro raccolto. Ad iun certo punto ci troviamo dietro una lunga colonna ferma, mi alzo in punta di piedi e vedo due militari che controllano i carichi dei mezzi, è un posto di blocco. Arrivato il nostro turno i due uomini in divisa si avvicinano, danno una occhiata tra i sacchi, guardano in viso ad ogni singolo passeggero, ci chiedono di che nazionalità siamo, dove stiamo andando e senza neanche controllarci i passaporti, fanno cenno all'autista di ripartire. Battambang sembra che non arrivi più, abbiamo le ossa a pezzi, siamo stanchi, ci guardiamo in viso, abbiamo gli occhi che lacrimano pieni di polvere e il viso color della terra.
Dopo altre due ore e mezzo eccoci percorrere la strada che passa al centro della città di Battambang dividendola in due, dopo 160 Km, cinque ora e mezza di sballottamenti siamo arrivati, siamo esausti, mi srotolo la maglietta che mi ripara il viso, i capelli sono incollati tra di loro in un misto di terra rossa e sudore. Questa maniera di viaggiare è dura, ma è l'unica maniera di conoscere veramente un paese,- che sballo!!!-. Appena mettiamo piede a terra alcuni ragazzi in motorino ci indicano un hotel vicino, cosi' accompagnati da questi giovani ormai sicuri della loro commissione, prendiamo una stanza all'Asia Hotel che si trova non più di duecento metri dal mercato centrale del paese. E' un hotel abbastanza carino e economico, anche se poco organizzato, ma in questo momento l'importante e che abbia una buona doccia e acqua fresca. Mentre Julie si riposa allungata sul letto sotto il ventilatore che gira a gran velocità, io faccio un giro del paese, passeggio tra i banchi ripieni di frutt, verdura strani oggett. Costeggio un fiume fino a raggiungere un piccolo ponte in ferro, mi siedo lungo un marciapiede dove sono già seduti a chiacchierare tre uomini e cerco di prendere cosi' informazioni sull'esistenza dell'ospedale di Emergency. Solo uno di loro spiccica alcune parole in inglese, e sembra che non conosca nessun ospedale italiano che porti questo nome, io insisto sulla sua esistenza, un alto uomo più anziano si avvicina, borbottano alcune parole a me incomprensibili, l'unico che parla inglese si rvolge a me, dicendomi, che d'allatra parte del fiume a un paio di chilometri, si trova un ospedale di soccorso americano, ma mi ripete che non esiste nessun ospedale italiano.
Mentre faccio ritorno verso l'Hotel, penso che sicuramente l'ospedale americano di cui mi hanno parlato invece sia l'ospedale del dottor Strada e che domani proverò ad andarlo a cercare in quella direzione.
Ad un certo punto mentre percorro alcuni vicoli di terra battuta circondati da piccole farmacie, officine, negozietti che vendono un po' di tutto, bambini che scorrazzano a piedi nudi tra la polvere gridandomi - hallo -, donne sdentate che mi sorridono, uomini che mi scrutano insospettiti, incontro julie che sconfitta dal gran caldo che avvolge la nostra piccola nuova stanza, è scesa in strada. Andiamo insieme verso il mercato e dopo soli alcuni minuti, preceduto da un assordante tuono comincia a scendere un acquazzone. Noi ci guardiamo in viso, alziamo la testa e insieme ringraziamo il cielo di non essere sul cassone del pik-up. Le strade si riempiono di grosse pozzanghere e fango, due bambini si rincorrono felici sotto la pioggia alzano volontariamente grossi spruzzi di acqua e fango con i loro piedi scalzi. Le persone corrono al riparo sotto i balconi, le donne delle bancarelle si affrettano a tirare spessi teloni, altre spazzano via l'acqua dai negozzi. Io e Julie coriamo verso un grosso terrazzo in cima a un hote qui vicino, e all'asciutto sorseggiamo una buona e gelata Angkor beer, accompagnata da un piatto di riso, ananas e pollo. In tanto il temporale cessa e le grige nuvole lasciano nuovamente lo spazio al sole, l'aria è più fresca e la città ricominci a muoversi nel suo trambusto.
09-04-2002. E' appena spuntato il sole e stiamo camminando lungo le sponde del fiume, alla ricerca dell'ospedale di Emergemcy. Superiamo il ponte in ferro e continuiamo allontanandoci dal centro lungo una larga strada di terra rossa. Più ci allontaniamo più le case in cemento lasciano il posto a semplici capanne in assi di legno e lamiere arrugginite, le persone che incrociamo hanno gli occhi che esprimono sempre più diffidenza, alcuni ci osservano da nascosti, altri ci guardano e poi parlottano tra loro. Ad un certo punto sul centro della strada vedo passare a gran velocità un pik-up bianco con sulle porte la scritta Emergency, capisco di non essere lontano. Arriviamo ad un incrocio, chiedo informazioni ad alcuni passanti, che mi indicano di svoltare a sinistra, di proseguire dopo la curva per alcune centinaia di metri e poi sulla destra avrei trovato l'ospedale. Cosi' faccio, Julie cammina accanto a me, guardiamo con curiosità ogni casa che ci circonda fino a quando notiamo sulla nostra destra un grosso muro bianco con su scritto in nero Emergency, vitato introdurre armi, felici capiamo di esserci arrivati.
Bussiamo a un cancello, viene ad aprirci un giovane cambogiano, entriamo nella sala daspetto del pronto soccorso, gli domando se è possibile parlare con un dottore italiano, cosi' mi presenta Stefano Noto un chirurgo di Milano che sarà la mia guidaall'inteno dell'ospedale.
Stefano e qui con la moglie infermiera ormai sei mesi, è un uomo molto solare, con gli occhi che brillano di luce propria e con la battuta sempre pronta.
Gli racconto che uno dei miei motivi di viaggio in Cambogia è proprio la visita di questo ospedale, lui è molto felice di cio', mi chiede cosa stà succedendo in Italia ma io gli rispondo che non ne so' molto, ormai sono più di due mesi che manco dal paese.
Stefano ci accompagna al centro dello stabile dove si trova una piccola casa bianca a un piano, circondata da giardini ben curati, dove davanti a una tazza di caffè mi spiega che questo ospedale è stato costruito subito dopo la fine della guerra nel 1998, ed è il secondo ospedale creato da Strda dpo quello in Kuzbechistan. L'ospedale è dedicato a una giornalista italiana assassinata in somalia, Ilaria Alpi. Tuttora esistono sei ospedali di Emergency dislocati sul nostro pianeta, e operano dottori, infermieri e addetti da tutte le nazioni. questo ospedale può curare solo persone ferite da armi da fuoco e taglio, malattie rigurdanti malformazioni di ossa congenite, ustioni e polmiomelite, in quanto durante il regime di Polpot era stato vietato il vacino con la scusa che era inutile. L'ospedale non batte nessuna bandiera, esiste grazie alle donazioni di nazioni e privati in gran parte italiani, giapponesi e americani. Collaborano con dottori occidentali dottori Kmer, lo stipendio medio mensile di un chirurgo si aggira intorno ai duemila dollari U.S.A., e i contratti di lavoro vanno dai 3 ai 6 mesi a un anno. Il ricovero è interamente gratuito, gli interventi più numerosi si hanno nella stagione secca, quando i contadini si radunano nei campi al lavoro e inciampano in mine ancora attive.
Stefano mi accompagna lungo un porticato dove si affacciano diverse case bianche che formano la parte più grande dello stabile. Durante l'intero percorso siamo accompagnati da due divertenti bambini ricoverati nell'ospedale, uno per ustioni multiple e l'altro per l'amputazione di una gamba dilagnata da una mina.
Entrambi appena possono si appendono alla mia maglietta e furtivamente mi infilano le mani in tasca per cercare di arraffare qualche dollaro.
Facciamo visita alla scuola, formata da una piccola stanza e gestita da un'insegnante di inglese occidentale e una cambogiana. Ci spiegano che questa scuola è stata creata per cercare di dare una istruzione ai bambini ospiti.
Da una porta mi affaccio su un'altra più grande stanza, dove una inserviente locale stà spazzando il pavimento, mentre alcune donne e bambini seduti su stuoie stanno mangiando una ciotola di riso, è la sala mensa, dove ogni giorno viene distribuito riso gratuito ai pazienti. Verso l'ambulatorio altri saloni, in uno più piccolo stuoie su cui i degenti ormai in guarigione possono riposare, in un altro salone più grande file di letti ospitano i pazienti gravi sotto candide lenzuola bianche e ventilatori alle volte.
Stefano ci accompagna in visita agli ammalati gravi. Appena entriamo nel salone ci annuncia come visitatori giunti dall'Europa, i ricoverati che possono fanno il gesto di alzarsi e incrociando le mani con un grosso sorriso ci salutano. Sembrano contenti e molto eccitati della nostra presenza, tutti ci vogliono stringere le mani. Passeggiamo lungo i letti, si vede un po' di tutto, uomini e donne con ustioni su tutto il corpo, bambini a cui è stata appena amputata una gamba o un braccio, altri feriti da armi da fuoco. Mi avvicino a un letto dove una madre srtringe tra le braccia un bambino che stà piangendo avrà non più di 5,6 anni, ustionato sull'intero viso e braccia. Lo prendo tra le mie braccia, gli scarto una caramella che per caso avevo in una tasca e comincio a giocare con lui fino a quando il suo viso pieno di lacrime non si trasforma in un bellissimo faccino sorridente.
Mentre continuiamo il nostro giro tra i letti, Stefano mi fa à conoscere una giovane ragazza ferita a un ginocchio da un proiettile di pistola, mi racconta che lavorava in uno dei tanti bar notturni, e una notte mentre ciocava con un poliziontto, questo, per puro gioco gli ha sparato. Stefano mi racconta che arrivano molti uomini e donne accoltellati in litigi tra famiglie e gang. Altri arrivano con arti dilagfnati esplosi su vecchie mine mentre cercavano di estrarre il detonatore per poterlo vendere e cosi' guadagnare da uno a due dollari.
Dopo una stretta di mano a tutti lasciamo il dormitorio, per visitare la radiologia, la stanza adedicata alla banca del sangue, importante per le improvvise trasfusioni, e un altro grosso stabile organizzato per la terapia intensiva, dove ci viene presentato un chilurgo plastico di Roma, l'unico altro dottore italiano che lavora in questo momento nell'ospedale.
Entrambi i dottori mi spiegano che c'è una grossa collaborazione con la Croce Rossa, i pazienti vengono operati da Emergency e poi trasferiti per la riabilitazione negli ospedali della Croce Rossa. Oltre questi ospedali ci sono molti punti di primo soccorso dislocati nelle zone più a rischio sul confine con la Tainlandia, normalmente costruiti immezzo ai campi in semplici capanne di legno.
Il novantotto per cento dei feriti da mine sono civili, solo il due per cento sono militari, le mine venivano poste per creare terrore tra la popolazione e proprio per questo non dovevano servire per uccidere ma ad amputare, creare deficenza, anchge perchè costa di più curare che seppellire...
Anche se la guerra è ormai finita, la delinquenza armata è sempre più in crescita, e solo un anno fà, una infermiera, una sera mentre si stava recando al lavoro sul suo motorino, è stata aggredita e uccisa proprio davanti al cancello dell'ospedale, per rubargli il motorino.
Per entrare a fare parte dello staff medico di Emergency, bisogna avere almeno dieci anni di lavoro e alcune esperienze in prima linea. L'ultimo ospedale aperto è in Sierra Leone.
I dottori che si vedono in questi ospedali sono veramente differenti, pieni di sole, con gli occhi che brillano, a modo loro viaggiatori, tra i migliori dei viaggiatori. Penso che ci voglia veramente una grande passione per poter lavorare in un posto del genere, rischiando tutti i giorni la propria pelle.
A Battambang oltre Emergency e la Croce Rossa si trovano molte altre associazioni umanitarie.
Alla fine della giornata i medici ci fanno conoscere una ragazza italiana dai lunghi capelli biondi che è qui da tre anni, si occupa della costruzione di sistemi di irrigazione e della tutela del terreno dei contadini. Lei ci spiega che è solo da poco tempo che si stà creando la proprietà privata e quindi registrata, fino a un paio di anni fà chiunque e sopratutto i militari, potevano uccidere un povero contadino, seppellirlo e impossessarsi sella sua terra senza che nessuno potesse dire e fare niente.
Prima che ci salutiamo sia Stefano che gli altri medici si raccomandano di fare molta attenzione quando ci spostiamo di notte, sopratutto a piedi, gli agguati avvengono ogni giorno, poi ci invitano a rincontrci l'indomani.....

2 commenti:

  1. ... vorrei leggerti con calma, così potrò gustarti appieno!
    Complimenti per la scelta dei colori!

    Aggiungimi come lettore fisso ed insegnami a farlo!

    http://www.theultimatepiece.blogspot.com

    Lidia

    RispondiElimina
  2. Aggiungimi come lettrice fissa e insegnami a fare altrettanto ... complimenti per la scelta dei colori ... :*

    Lidia

    RispondiElimina